E' morto Papa Francesco
Articolo di Repubblica.
Poco fa Sua Eminenza, il Card Farrell, ha annunciato con dolore la morte di Papa Francesco, con queste parole:
“Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco.
Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa.
Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati.
Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino.”
Articolo della Stampa.
Dodici anni dopo quel celebre e sorprendente «Fratelli e sorelle, buonasera!», pronunciato dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, se ne va Francesco, il papa della gente e delle sorprese. Aveva 88 anni.
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, Jorge Mario Bergoglio si presenta al pianeta vestito di bianco il 13 marzo 2013, dicendo col sorriso che i cardinali sono andati a prendere il nuovo Vescovo di Roma «alla fine del mondo». Stupisce e incanta subito la sua semplicità, quasi a voler proclamare in poche frasi lo stile del suo pontificato. Un magistero con al centro la «vicinanza», la «tenerezza», il dialogo con tutti, dentro e fuori dal recinto cattolico. E poi, soprattutto, i «poveri». Lo si intuisce dalla scelta imprevedibile del nome: Francesco. Un richiamo al «Santo Poverello» di Assisi, una decisione maturata nei primi attimi dopo la sua elezione, quando all'interno della Cappella sistina il suo vicino di banco, il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, nel complimentarsi raccomandò di non dimenticare i bisognosi.
Il primo Pontefice latinoamericano, il primo gesuita, con origini piemontesi, sbalordisce tutti anche con la volontà di vivere nella sobria Casa Santa Marta, e non nel Palazzo apostolico: «Non è tanto lussuoso - spiegherà più volte - ma è enorme. La sensazione che ho avuto era come di un imbuto al rovescio». Lì dentro da solo non lo avrebbe tollerato «psicologicamente». Quando gli domandano l’origine della decisione dice che l’ha presa «per motivi psichiatrici, per la mia salute, per non finire male». Casa Santa Marta è «un albergo» che gli permette di stare «con le persone, tra la gente».
Il Vescovo di Roma costringe fedeli, osservatori e addetti ai lavoro a «inseguirlo» anche nella sua prima uscita dalle mura vaticane: Lampedusa. Nessuno poteva immaginarsela. Sceglie quell’isola perché è simbolo del dramma dei disperati del mare, delle tragedie dei migranti, e lì parla della «globalizzazione dell’indifferenza» che lo porterà poi, nel corso degli anni, a denunciare in numerose occasioni il disinteresse verso il prossimo più debole o scomodo e a condannare la «cultura dello scarto».
Il 24 maggio 2015 pubblica l’enciclica «verde» - e «sociale», aggiunge lui stesso per descriverla - «Laudato si’», in cui afferma: «La terra è ferita, serve una conversione ecologica. Siamo cresciuti pensando che eravamo proprietari e dominatori della Terra, autorizzati a saccheggiarla». Lancia un appello a governi e istituzioni scrivendo che la crisi ambientale è crisi antropologica ed è legata al modello di sviluppo: bisogna eliminare le cause strutturali di un’economia che non rispetta tutti gli esseri umani, ma solo alcuni privilegiati. Propone nuovi stili di vita all’insegna dell’«ecologia integrale».
Un’altra priorità è la riforma del sistema economico-finanziario della Santa Sede, per mettere fine agli scandali e risollevare le casse vaticane.
Il messaggio «di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore». Il Giubileo straordinario della misericordia è annunciato da papa Francesco il 13 marzo 2015. Viene aperto ufficialmente l’8 dicembre successivo in San Pietro. Però con un altro gesto che lascia di stucco: il Pontefice ha già spalancato qualche giorno prima la Porta santa, ma non della Basilica vaticana, bensì nella cattedrale di Bangui, Repubblica Centrafricana, paese in guerra e uno dei più poveri del pianeta, dove si trovava in visita apostolica.
Nel tempo dei terrificanti attentati dell’Isis, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, in occasione della visita del Papa negli Emirati Arabi Uniti, firmano il «Documento sulla Fratellanza umana. Per la Pace mondiale e la Convivenza comune». I due leader dichiarano «che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione». Perciò invitano a «smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione».
Qualche settimana dopo raduna le «truppe» porporate e vescovili con l’obiettivo di guarire la piaga più dolorosa e scandalosa che continua a «sanguinare» nelle Sacre Stanze: la pedofilia. Dal 21 al 24 febbraio convoca i capi delle conferenze episcopali e i rappresentanti degli ordini religiosi di ogni nazione per l’incontro «La protezione dei minori nella Chiesa». Gli abusi sessuali sono diffusi in tutta la società, ma questo non ne «diminuisce la mostruosità nella Chiesa». Anzi, nell’ambito ecclesiastico questa «disumanità» è «ancora più grave», afferma il Pontefice nel suo discorso conclusivo del summit. Bergoglio esprime varie denunce e un forte grido: nella rabbia della gente c’è l’ira di Dio. Promette: anche un solo caso sarà affrontato con la massima serietà, senza più coperture. Nella Chiesa «è cresciuta la consapevolezza di dovere non solo cercare di arginare gli abusi gravissimi con misure disciplinari e processi civili e canonici, ma anche affrontare con decisione il fenomeno. Essa si sente chiamata a combattere questo male che tocca il centro della sua missione: annunciare il Vangelo ai piccoli e proteggerli dai lupi voraci».
È il primo Papa a convivere Oltretevere col suo predecessore, Benedetto XVI, che rinunciò al pontificato. Alcune tensioni collaterali aprono la «questione costituzionale» sull’assenza di una regolamentazione dell’istituto del pontefice emerito. In ogni caso Bergoglio lo considera il «nonno saggio», e Ratzinger assicura più volte che la sua amicizia con papa Francesco è forte e salda. Dice di sentirsi «protetto dalla sua bontà». E mentre il suo successore è sotto attacco da fronti interni oppositori, ricorda ai nuovi cardinali «il valore della fedeltà al Pontefice».
Il 27 marzo 2020, dal sagrato della Basilica vaticana, il Papa in un momento straordinario di preghiera invoca la guarigione per il mondo assediato dal Covid. Francesco in una piazza deserta, e in una giornata piovosa, chiede a Dio di «non lasciarci in balia della tempesta. Svegliati Signore! Salvaci!» invoca Francesco, citando le parole dei discepoli sorpresi in mare da una burrasca, mentre Gesù sembra dormire in tranquillità. «Siamo tutti sulla stessa barca. Nessuno si salva da solo», è l’appello del Pontefice alla solidarietà tra persone e tra nazioni.
Il 3 ottobre 2020 diffonde la «Fratelli tutti». La politica «non degeneri in populismo». Bergoglio parte dalla pandemia, che «non è un castigo di Dio, è la realtà che geme e si ribella». L’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che «nessuno si salva da solo»: se ne potrà uscire soltanto tutti insieme, attraverso la via della solidarietа. Perciò è tempo di abbattere muri, disinnescare le chiusure dei nazionalismi e i pericoli della xenofobia. E prendere le distanze dai populismi, che in realtà «strumentalizzano i popoli». Bergoglio lo afferma nell’enciclica «sociale» scritta per «sognare come un’unica umanità», citando Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e il beato Charles de Foucauld.
In dieci anni Francesco ha compiuto 47 viaggi apostolici internazionali visitando 66 nazioni, e quaranta visite pastorali in 49 città o frazioni d’Italia. Dal 5 all’8 marzo 2021 è in Iraq. Giunge nella ex roccaforte dei terroristi dell’autoproclamato Stato islamico. Un avvenimento dall’elevato valore simbolico oltre che storico. Il nome di Dio non può essere invocato per uccidere, ribadisce il Pontefice nella preghiera per le vittime della guerra a Mosul, dove l’Isis annunciò il califfato. Nel 2024, a 87 anni, si lancia in tour de force storico che lo porterà a toccare le ferite ambientali e sociali dell'Asia e dell’Oceania. Va in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore: con 12 giorni e 32.814 chilometri di percorrenza, è il viaggio più lungo del pontificato.
Il giorno dopo l’invasione russa in Ucraina, il Pontefice rompe il protocollo e compie un gesto diplomatico senza precedenti. Se occorre, infatti, dall’ambasciatore va il prelato ministro degli Esteri. Neanche il Segretario di Stato si muove in questi casi. Bergoglio va di persona in via della Conciliazione dal rappresentante russo presso la Santa Sede con l’intento di lanciare un messaggio a Vladimir Putin: fermare bombe e missili. Da quel giorno l’impegno di Francesco e della Santa Sede per provare a mettere fine alle ostilità è quotidiano, attraverso il lavoro della diplomazia vaticana e i continui accorati appelli papali alla pace. In una intervista concessa a La Stampa afferma che «tra Kiev e Mosca la pace è possibile. Non rassegniamoci. Però bisogna che tutti si impegnino per smilitarizzare i cuori, a cominciare dal proprio, e poi disinnescare, disarmare la violenza. Dobbiamo essere tutti pacifisti. Volere la pace, non solo una tregua che magari serva solo per riarmarsi. La pace vera, che è frutto del dialogo». E non si ottiene «con le armi».
Il Vescovo argentino di Roma ha indetto il Sinodo sulla sinodalità. Vuole rendere la Chiesa più pronta a condividere responsabilità con i laici e le donne - Papa Bergoglio ha nominato la prima prefetta della Curia romana - ad ascoltare il mondo e la contemporaneità, ad andare missionaria per le strade delle «periferie geografiche ed esistenziali», senza paura di uscire dalla galassia ecclesiastica e dalle sacrestie, superando le chiusure ideologiche, ma non snaturando la dottrina. Nel 2023, alla Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona, scandisce che «nella Chiesa c’è posto per todos, todos, todos (tutti, tutti, tutti)!». È tra le più grandi sfide che Francesco lascia in eredità al suo successore.
Solo ieri Papa Francesco era in Piazza San Pietro per la Benedizione Urbi et Orbi.
Articolo di Avvenire.
Da piazza San Pietro si alza l'annuncio della Pasqua «festa della vita» e della pace. Papa Francesco lo scrive nel Messaggio Urbi et Orbi. In cui ammonisce che «nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo». Il pontefice invoca altre "armi". «Usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte», colpendo anche scuole e ospedali. Di qui il suo «appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude».
Francesco non ha letto personalmente il testo, ma si è affacciato dalla Loggia centrale della della Basilica di San Pietro e ha augurato con voce leggermente rauca «Buona Pasqua», annunciando che il Messaggio sarebbe stato letto dal maestro delle cerimonie liturgiche pontificie, l'arcivescovo Diego Ravelli. Come in effetti è avvenuto. Il Pontefice è rimasto sulla loggia per tutto il tempo della lettura del testo. Quindi alla fine, dopo l'annuncio dell'indulgenza plenaria per quanti hanno assistito di persona o tramite i media, dato dal protodiacono cardinale Mamberti, ha benedetto la folla presente, cresciuta fino a 50mila persone, pronunciando la formula in latino. La benedizione è stata accolta con un prolungato applauso e grida di "Viva il Papa". E il Papa ha voluto ricambiare l'affetto con un giro in papamobile tra i fedeli. Il primo dopo oltre due mesi. Un gesto straordinario che ha acceso l'entusiasmo dei fedeli. Francesco è uscito dall'Arco delle Campane, ha percorso i corridoi tra i vari settori e si è spinto fino a quasi metà di via della Conciliazione, tra due ali di gente. Spesso la Papamobile si è fermata per permettere al Pontefice di benedire e accarezzare alcuni bambini. Immagini straordinarie e commoventi.
Quindi Francesco, alle 12,55 ha fatto ritorno a Casa Santa Marta, riattraversando l'Arco delle Campane. Significativo anche l'incontro con il vicepresidente Usa Jd Vance, alle 11,30 nella sua residenza. Al Papa anche gli auguri del capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella.
Nel Messaggio Urbi et Orbi lo sguardo del Pontefice abbraccia come di consueto tutto il mondo e le sue situazioni di sofferenza (dall'Ucraina alla Palestina, all'Africa al Myanmar), in questo giorno in cui, ricorda, tutti i cristiani delle diverse confessioni festeggiano insieme la Risurrezione di Cristo. «La Pasqua è la festa della vita! – si legge nel messaggio - Dio ci ha creati per la vita e vuole che l’umanità risorga! Ai suoi occhi ogni vita è preziosa! Quella del bambino nel grembo di sua madre, come quella dell’anziano o del malato, considerati in un numero crescente di Paesi come persone da scartare. Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti! In questo giorno, vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio».
«La luce della Pasqua - sottolinea ancora il Vescovo di Roma - ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana».
Parole forti che si aggiungono alla radiografia dettagliata del mondo presente nel messaggio. «Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile», afferma innanzitutto il messaggio papale. «Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi - ricorda il Pontefice -, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero. Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace! Preghiamo per le comunità cristiane in Libano e in Siria che, mentre quest’ultimo Paese sperimenta un passaggio delicato della sua storia, ambiscono alla stabilità e alla partecipazione alle sorti delle rispettive Nazioni. Esorto tutta la Chiesa ad accompagnare con l’attenzione e con la preghiera i cristiani dell’amato Medio Oriente. Un pensiero speciale rivolgo anche al popolo dello Yemen, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie “prolungate” del mondo a causa della guerra, e invito tutti a trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo».
Papa Bergoglio ricorda anche: «Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità. E in quest’anno giubilare, la Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici».
«Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina - prosegue il testo - e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura. In questo giorno di festa pensiamo al Caucaso Meridionale e preghiamo affinché si giunga presto alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che conduca alla tanto desiderata riconciliazione nella Regione. La luce della Pasqua ispiri propositi di concordia nei Balcani occidentali e sostenga gli attori politici nell’adoperarsi per evitare l’acuirsi di tensioni e crisi, come pure i partner della Regione nel respingere comportamenti pericolosi e destabilizzanti».
«Cristo Risorto, nostra speranza, conceda pace e conforto alle popolazioni africane vittime di violenze e conflitti, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e Sud Sudan, e sostenga quanti soffrono a causa delle tensioni nel Sahel, nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi, come pure i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede. Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui».
Infine un pensiero al popolo birmano, «già tormentato da anni di conflitto armato, che affronta con coraggio e pazienza le conseguenze del devastante terremoto a Sagaing, causa di morte per migliaia di persone e motivo di sofferenza per moltissimi sopravvissuti, tra cui orfani e anziani. Preghiamo per le vittime e per i loro cari e ringraziamo di cuore tutti i generosi volontari che svolgono le attività di soccorso. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte di vari attori nel Paese è un segno di speranza per tutto il Myanmar».
In precedenza era stata celebrata la Messa del Giorno in piazza San Pietro, addobbata dai fiori olandesi. Pasqua è correre. Incontro al Signore Risorto. Per cercarlo non più nel sepolcro, ma nelle situazioni della vita e nel volto degli altri, ha scritto il Pontefice nell'omelia della Messa del giorno di Pasqua, letta dal cardinale Angelo Comastri «con tanta emozione», come egli stesso ha sottolineato. È stato infatti l'arciprete emerito della Basilica Vaticana, a presiedere, su delega papale, la Messa del Giorno in piazza San Pietro, nella singolare circostanza di quest'anno e cioè che tutte le Chiese cristiane festeggiano la Pasqua nello stesso giorno. Dunque, ricorda Francesco nel testo dell'omelia, «non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o rinchiuderlo nella tristezza». La fede pasquale, «che ci apre all’incontro con il Signore Risorto e ci dispone ad accoglierlo nella nostra vita, è tutt’altro che una sistemazione statica o un pacifico accomodarsi in qualche rassicurazione religiosa». Gesù non può essere confinato «in una bella storia da raccontare, non si può fare di Lui un eroe del passato o pensarlo come una statua sistemata nella sala di un museo! Al contrario, bisogna cercarlo e per questo non possiamo stare fermi». E infatti «risorto dalla morte, allora Egli è presente ovunque, dimora in mezzo a noi, si nasconde e si rivela anche oggi nelle sorelle e nei fratelli che incontriamo lungo il cammino, nelle situazioni più anonime e imprevedibili della nostra vita. Egli è vivo e rimane sempre con noi, piangendo le lacrime di chi soffre e moltiplicando la bellezza della vita nei piccoli gesti d’amore di ciascuno di noi».
Il Risorto dunque «vince le nostre oscurità e vincerà le tenebre del mondo, per farci vivere con Lui nella gioia, per sempre». Il Giubileo, prosegue papa Francesco , «ci chiama a rinnovare in noi il dono di questa speranza, a immergere in essa le nostre sofferenze e le nostre inquietudini, a contagiarne coloro che incontriamo sul cammino, ad affidare a questa speranza il futuro della nostra vita e il destino dell’umanità. E perciò non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o rinchiuderlo nella tristezza; dobbiamo correre, pieni di gioia. Corriamo incontro a Gesù, riscopriamo la grazia inestimabile di essere suoi amici».
L'omelia si conclude con una citazione di Henri De Lubac e un'altra di Adriana Zarri. Scrive il Teologo: «Il cristianesimo è Cristo. No, veramente, non c’è nient’altro che questo. In Cristo noi abbiamo tutto». E la scrittrice aggiunge: «Dacci la gioia di svegliarci, ogni mattino, con occhi stupiti per vedere gli inediti colori di quel mattino, unico e diverso da ogni altro. […] Tutto è nuovo, Signore, e niente ripetuto, niente vecchio». Alla Messa erano presenti oltre 35mila fede. Il rito è stato concelebrato da 26 cardinali, 16 vescovi e 250 sacerdoti. Il cardinale Comastri ha concluso: «Grazie papa Francesco, per questo forte invito a risvegliare la nostra fede, in Gesù vivo e presente accanto a noi. Grazie Papa Francesco e Buona Pasqua».
E al Papa sono arrivati anche gli auguri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Santità, sono lietissimo di porgerLe, a nome della Repubblica Italiana e mio personale, gli auguri più sentiti di buona e santa Pasqua», scrive il capo dello Stato in un messaggio a Papa Francesco. «Nel rinnovarLe i più fervidi auspici di benessere personale, La prego, Santità di accogliere i migliori auguri che il popolo italiano Le porge in occasione della Pasqua e dell'ormai prossima festività di san Giorgio (il 23 aprile, ndr). Con il grande affetto degli italiani e mio personale».
La Sala Stampa ha fatto sapere inoltre che alle 11,30 a Casa Santa Marta, Francesco ha avuto un preve incontro privato con il vicepresidente Usa JD Vance . L'incontro, durato alcuni minuti, ha dato modo di scambiarsi gli auguri nel giorno di Pasqua, viene sottolineato. Nelle immagini anche uno scambio di uova di Pasqua.
Il Papa ha anche incontrato il premier della Croazia Andrej Plenkovic con la famiglia, in visita privata a Roma.
Articolo di Avvenire.
La notizia che nessuno avrebbe voluto sentire è arrivata. Papa Francesco è tornato alla casa del Padre dopo un Pontificato di quasi 12 anni (li ha completati il 13 marzo scorso). A dare il triste annuncio è stato poco fa Sua Eminenza, il Card Farrell, con queste parole: «Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino».
Il Papa si trovava dal 28 marzo in convalescenza a Casa Santa Marta, dopo il lungo ricovero al Gemelli, 38 giorni, per le complicanze dovute alla polmonite bilaterale emersa dopo la Tac del 18 febbraio scorso. Ieri si era affacciato dalla Loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et Orbi. E nulla lasciava presagire una conclusione così imminente del Pontificato. Francesco non aveva letto personalmente il testo, ma si è affacciato dalla Loggia centrale della della Basilica di San Pietro e ha augurato con voce leggermente rauca «Buona Pasqua», annunciando che il Messaggio sarebbe stato letto dal maestro delle cerimonie liturgiche pontificie, l'arcivescovo Diego Ravelli. Come in effetti è avvenuto.
Il Pontefice era rimasto sulla loggia per tutto il tempo della lettura del testo. Quindi alla fine, dopo l'annuncio dell'indulgenza plenaria per quanti hanno assistito di persona o tramite i media, dato dal protodiacono cardinale Mamberti, ha benedetto la folla presente, cresciuta fino a 50mila persone, pronunciando la formula in latino. La benedizione è stata accolta con un prolungato applauso e grida di "Viva il Papa". E il Papa aveva voluto ricambiare l'affetto con un giro in papamobile tra i fedeli. Il primo dopo oltre due mesi. Un gesto straordinario che ha acceso l'entusiasmo dei fedeli. Francesco è uscito dall'Arco delle Campane, ha percorso i corridoi tra i vari settori e si è spinto fino a quasi metà di via della Conciliazione, tra due ali di gente. Spesso la Papamobile si è fermata per permettere al Pontefice di benedire e accarezzare alcuni bambini. Immagini straordinarie e commoventi, che rimarranno anche le ultime in pubblico del Pontefice argentino.
Quindi Francesco, alle 12,55 aveva fatto ritorno a Casa Santa Marta, riattraversando l'Arco delle Campane. Significativo anche l'incontro con il vicepresidente Usa Jd Vance, alle 11,30 nella sua residenza.
Il mondo, che adesso attonito, ha appreso la notizia, aveva trepidato per la sua salute durante il ricovero al Gemelli, in cui era stato per due volte molto vicino alla morte.
Articolo di Avvenire.
Che tipo di Papa sarebbe stato non ci volle molto a capirlo, quel tardo pomeriggio del 13 marzo 2013. Il tempo di vederlo comparire sul balcone centrale della facciata della Basilica di San Pietro, di osservare il semplice vestito bianco, con nient’altro sopra se non la croce pettorale, di ascoltare il suo «buo0nasera» e le prime parole a braccio, dopo l’annuncio del nome che Jorge Mario Bergoglio aveva scelto per il suo ministero petrino. Francesco. Una novità assoluta nella bimillenaria storia dei papi.
Cominciava così un pontificato “delle prime volte”, estremamente popolare, anche se non scevro da critiche (quasi tutte da “destra” e anche questa è una prima volta, almeno nella storia recente), ma sicuramente rivoluzionario per molti aspetti. A cominciare dal fatto che per la prima volta, appunto, era stato chiamato a guidare la Chiesa cattolica un latino-americano, circostanza che egli stesso sottolineò con un’espressione poi divenuta famosa: «Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo (il nuovo vescovo di Roma, ndr) quasi alla fine del mondo».
Ma insieme a questa frase, molto di quello che sarebbe avvenuto dopo, nei 12 anni di permanenza sulla cattedra di Pietro, fu come preconizzato in quel primo discorso da Pontefice.
La teologia del popolo, ad esempio, sua constante stella polare. La fratellanza, che tanto spazio avrebbe avuto nei suoi documenti e soprattutto nell’enciclica Fratelli tutti. La sua richiesta della preghiera del popolo affinché il Signore apponesse il sigillo della sua benedizione sul nuovo pontificato, ancor prima che fosse – come di consueto – il nuovo Papa a benedire il popolo. E il primo pensiero dedicato a Benedetto XVI, da pochi giorni (a quella data) Papa emerito, per inaugurare un rapporto di considerazione e affetto che sarebbe durato fino alla morte del suo predecessore, il 31 dicembre 2022.
Papa Francesco dimostrò fin dall’esordio la sua capacità di sorprendere. E di stabilire una sintonia immediata con i propri interlocutori, anche quelli più lontani, le personalità che fino ad allora avevano guardato alla Chiesa di Roma con sospetto e diffidenza, o magari con indifferenza, se non proprio con aperta ostilità. Quali saranno i frutti che questa naturale simpatia ha prodotto lo giudicherà la storia, ma è un fatto che papa Bergoglio abbia aperto canali di dialogo fino a poco tempo fa impensabili. Si pensi solo agli incontri con Eugenio Scalfari, sia pure al netto degli errori teologico-dottrinali anche gravi, attribuiti dal famoso giornalista al Papa nei suoi report su quei colloqui.
Nei giorni che seguirono l’elezione, in particolare, emersero sempre nuovi aspetti della personalità del Papa argentino, che gli guadagnarono un immediato e quasi totale favore popolare. Come ad esempio la scelta, subito dopo l’affaccio dal balcone, di tornare a Casa Santa Marta in pulmino con gli altri cardinali invece di utilizzare l'automobile papale. Oppure il gesto di recarsi personalmente alla Casa del Clero dove aveva soggiornato nei giorni precedenti al Conclave, per pagare il conto. E poi la decisione di rimanere a Santa Marta, anziché andare a risiedere nel Palazzo apostolico, non come scelta di povertà, ma di contatto con le persone, perché questo lo faceva stare bene, come spiegò egli stesso.
Anche il nome fu un’indicazione di programma: Francesco è l’uomo della povertà, della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato. «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!», disse. Si aggiungerà poi la misericordia, a completare i quattro pilastri pastorali del suo magistero. Nel primo Angelus dopo la sua elezione, il 17 marzo, Bergoglio parlò della misericordia come di una parola che cambia il mondo» e lo «rende meno freddo e più giusto». E il 7 aprile, nella basilica di San Giovanni in Laterano, quando il nuovo Vescovo di Roma si insediò sulla sua cattedra, aggiunse: «Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio». Sono solo i primi accenni di tema che troverà il suo momento più alto nella celebrazione dell’Anno Santo straordinario della misericordia (2015-2016).
Nella Messa di inizio ufficiale del ministero petrino, il 19 marzo 2013, giorno di San Giuseppe, il Papa parlò anche di tenerezza, prendendo spunto proprio dal casto sposo di Maria, uno dei santi che gli erano più cari. «In lui – sottolineò - vediamo qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato». Quindi parlando del suo ruolo disse: «Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce». Il che significa «aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire».
Su questi binari programmatici ecco che il primo anno di pontificato diventa una specie di fuoco pirotecnico delle novità. Il 23 marzo, ad appena dieci giorni dall’elezione al soglio di Pietro, papa Francesco si reca a Castel Gandolfo per visitare il papa emerito Benedetto XVI. È la prima volta nella storia che due papi si incontrano. Il 13 aprile 2013 un comunicato della Segreteria di Stato annuncia la formazione di un gruppo di cardinali «per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana». Nasce così il cosiddetto C8 (otto cardinali), che poi diverrà C9, con l’ingresso del segretario di Stato, Pietro Parolin. Questo gruppo, di cui viene nominato segretario l’allora vescovo di Albano, Marcello Semeraro (poi cardinale), sarà quello che insieme al Papa porterà alla riforma della Curia, ora codificata nella costituzione Praedicate Evangelium, pubblicata il 19 marzo 2022.
L’8 luglio 2013, poi, un po’ a sorpresa, Francesco dà inizio ai suoi viaggi, scegliendo una destinazione emblematica: Lampedusa. C'era stato.da non molto l’ennesimo grave naufragio che aveva causato decine di morti tra i migranti. Si comprende così che, pur confermando la prassi dei viaggi papali, Bergoglio intende dare anche a questa attività un’impronta in linea con le proprie priorità pastorali. Periferie sempre al centro. Predilezione per i più poveri. Chiesa in uscita. In Europa, ad esempio, inizierà dall’Albania, non toccherà mai i grandi Paesi. Strasburgo e Marsiglia non furono visite alla Francia, ma al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa nel primo caso, ai vescovi del Mediterraneo riuniti a convegno nel secondo (solo la periferica Ajaccio lo è stato, suo ultimo viaggio, il piu breve), mentre in altri continenti visiterà preferibilmente contesti e situazioni, più che Paesi, con un occhio particolare ai diseredati e al dialogo con le altre religioni, musulmani in primis. Alcuni dei viaggi entreranno direttamente nella storia del Pontificato. Quello in Iraq, ad esempio, in pieno periodo Covid e dopo la fine della devastazione dell’Isis, il viaggio in Terra Santa, le due tappe nella Penisola arabica (Abu Dhabi e Qatar), le prime in assoluto per un Pontefice in quella regione, la visita all’Onu, a suo modo anche il Giappone (dove il Papa avrebbe voluto andare come missionario da giovane) e il sorvolo della Cina durante il viaggio in Corea del Sud. Francesco invece non ha fatto mai ritorno in Argentina, pur avendo viaggiato diverse volte in America Latina.
Tra i viaggi bisogna anche ricordare le Gmg. Grandiosa quella di Rio de Janeiro nel 2013 (suo primo viaggio all’estero, a pochi mesi dall’elezione), cui sono seguite quelle di Cracovia 2016, Panama 2019 e Lisbona 2023.
Il primo Concistoro per la creazione di nuovi cardinali si tenne invece il 22 febbraio 2014. E anche in questo ambito si intuì fin da allora che Francesco aveva in mente una sua “geopolitica” delle porpore, che non coincideva con quella codificata nel tempo rispetto alle sedi episcopali cosiddette cardinalizie. La sua preferenza è spesso andata a realtà periferiche e a Chiese che non avevano mai avuto un cardinale.
Ma la libertà del Pontefice si esplica anche in altri campi: telefona agli amici, si reca di persona a comprare gli occhiali in un’ottica di via del Corso a Roma, compie alcune visite a sorpresa - quella del febbraio 2021 a casa della scrittrice di origine ebraica, Edith Bruck, sopravvissuta ai lager nazisti e quella a casa di Emma Bonino il 5 novenovembre 2024 -, festeggia i suoi compleanni e onomastici condividendo un pezzo di pizza o di torta con i clochard che vivono dalle parti di San Pietro. Non può più uscire da solo o prendendo la metropolitana, come faceva quando era arcivescovo di Buenos Aires, ma talvolta si concede piccole “licenze”. Soprattutto con e per i poveri, gli ammalati, gli emarginati, verso i quali dimostra la sua speciale predilezione. Dispone ad esempio che l’elemosineria diventi una specie di braccio operativo della sua carità immediata. E incarica l’elemosiniere Konrad Krajewski (che sarà insignito della porpora cardinalizia) di provvedere ai loro bisogni: docce, dormitorio, perfino il barbiere ogni lunedì, cure e visite mediche dedicate (specie nella giornata mondiale dei poveri, organizzata dall’arcivescovo Rino Fisichella), ma anche spettacoli al circo e concerti nell’Aula Paolo VI. Una volta viene organizzata anche una visita guidata nella Cappella Sistina.
È un Pontificato di gesti, oltre che di discorsi e documenti, quasi un’enciclica scritta con il linguaggio del corpo, con gli incontri che non ti aspetti, con gli abbracci agli ammalati, anche i più gravi. Lo stesso stile hanno il suo magistero e la sua predicazione. Soprattutto nelle messe mattutine a Santa Marta (consuetudine interrotta alla fine del periodo del Covid), che diventano un vero e proprio laboratorio di omiletica, in cui il Pontefice dà prova anche della sua capacità di parlare un linguaggio per immagini (“Chiesa in uscita”, appunto, per dire della missionarietà; “pastori con l’odore delle pecore” per raccomandare ai sacerdoti la vicinanza al popolo di Dio; “cristiani della domenica”, per stigmatizzare la distanza tra fede e vita di certi praticanti, e diverse altre espressioni tipiche).
Un’ulteriore grande novità, introdotta fin dal primo anno di Pontificato, è quella di celebrare la messa in coena Domini del Giovedì Santo non più nella Basilica di san Pietro, ma nei luoghi della sofferenza umana: carceri soprattutto (e si comincia con quello minorile di Casal del Marmo a Roma), ma anche nosocomi e centri di riabilitazione.
Sono tutte linee che si ritrovano in maniera sistematica nell’esortazione Evangelii gaudium, promulgata nel novembre del 2013, vero e proprio documento programmatico del pontificato e che dà forma compiuta a idee portanti come quella della Chiesa in uscita, intesa come totalità del Popolo di Dio che evangelizza, il discorso sull’economia che uccide e sulle iniquità dei meccanismo del mercato, l’indicazione che il tempo è superiore allo spazio, la realtà superiore all’idea, l’unità prevale sul conflitto, il tutto è superiore alla parte. E poi le indicazioni sull’omiletica, la pace e il dialogo sociale e le motivazioni spirituali per l'impegno missionario.
Francesco anche per quanto riguarda i documenti segue una linea originale. Relativamente pochi, ma molto caratterizzati. Prima della Evangelii Gaudium era stata pubblicata l’enciclica Lumen Fidei (29 giugno 2013), quasi pronta già sotto il pontificato di Benedetto XVI, che però non l’aveva conclusa. Il nuovo Pontefice la fa propria, la completa e la pubblica dichiarando esplicitamente che si tratta di un testo praticamente scritto a quattro mani con il suo predecessore (altra circostanza inedita nella storia dei Papi).
Documenti fondamentali saranno l’enciclica sociale Laudato si', la prima dedicata interamente alla salvaguardia del creato, con la proposta innovativa dell’ecologia integrale (non esistono tante crisi, ma una sola che le comprende tutte) e poi Fratelli tutti, che ne costituisce l’ideale continuazione, e naturalmente Amoris Laetitia, uno dei documenti più commentati (e controversi, soprattutto per la questione della comunione ai divorziati risposati), frutto dei due sinodi dedicati alla famiglia tra il 2014 e il 2015. L'ultima enciclica è Dilexit nos sul Sacro Cuore.
Il Giubileo della misericordia
Il crescendo dei primi anni di pontificato giunge fino alla proclamazione, anche questa una sorpresa, dell’Anno santo straordinario della misericordia. Il Giubileo si svolge con modalità innovative. Il Papa dispone che siano aperte porte sante in tutte le diocesi del mondo. Ed egli stesso ne anticipa di qualche giorno l’inizio, fissato per l’8 dicembre 2015 aprendo il 29 novembre la porta santa della Cattedrale di Notre-Dame di Bangui nella Repubblica Centrafricana, durante il suo primo viaggio in Africa.
I tre momenti storici
Non mancano anche nella seconda fase del Pontificato i momenti storici. Se ne potrebbero indicare tre su tutti. In ordine di data:
- l’incontro del 12 febbraio 2016 a Cuba con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, novità assoluta nella storia anche questa, che aveva fatto sperare in un definitivo disgelo con la parte numericamente più consistente dell’ortodossia, prima che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ricongelasse molto di questo rapporto.
- la preghiera sotto la pioggia del 27 marzo 2020 in una piazza san Pietro deserta, per chiedere la fine della pandemia (immagini anche queste rimaste nell’immaginario collettivo);
- la firma ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019 della Dichiarazione sulla fratellanza universale, insieme con il grande imam di Al-Azhar, quale base per costruire la pace e la convivenza tra i popoli.
I migranti, i poveri e l’Economy of Francesco
Il Papa ha approfondito negli anni molti dei temi enunciati già dall’inizio del Pontificato. L’attenzione agli ultimi e ai poveri, ad esempio, anche attraverso un altro modo fare economia. E nasce infatti “Economy of Francesco”, movimento di giovani economisti per cambiare le regole che troppo spesso non tengono conto della sostenibilità, lasciano indietro i più poveri e non rispettano l’ambiente. Il Pontefice si fa promotore anche di alcune iniziative simbolo, come il Sinodo per l’Amazzonia, con finalità non solo pastorale, ma anche legata alla salvaguardia del più grande polmone verde del mondo. Infine, emerge sempre più la questione della sinodalità, come modo di vivere la Chiesa e stabilire un nuovo contatto con il mondo (a questo tema sarà dedicato il doppio sinodo del 2023 e del 2024).
Il Papa alza sempre più spesso la sua voce in difesa dei migranti, chiedendo per loro accoglienza, protezione, promozione e integrazione. E compie ben due visite a Lesbo, l’isola greca dove c’è uno dei campi profughi più grandi d’Europa.
Dall’invasione della guerra in Ucraina (24 febbraio 2022) e poi con le ostilità a Gaza (dopo l’inumano attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023), il Pontefice chiede con sempre più insistenza di fermare la violenza, paventando l’avvio di una terza guerra mondiale non più solo a pezzi. Sua la decisione senza precedenti di recarsi personalmente all’indomani dell’aggressione a Kiev nell’ambasciata russa presso la Santa Sede per cercare di parlare (inutilmente) con Putin. Sua anche l'idea di nominare suo inviato speciale per la pace il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, che, se non riesce a fermare le ostilità, quanto meno ottiene il rilascio di molti ostaggi, tra i quali soprattutto bambini ucraini portati in Russia.
Sono stati anche anni di lotta senza quartiere agli abusi sui minori all’interno della Chiesa. Francesco ha cercato di attuare una “politica” di tolleranza zero sul tremendo problema, introducendo norme severe per quei vescovi che dovessero coprire casi di loro conoscenza e istituendo una Commissione per la tutela dei minori, affidata alla presidenza del cardinale Seàn Patrick O’Malley. Francesco ha anche voluto una nuova sezione all’interno della Congregazione per la dottrina della Fede, quella disciplinare, chiamata a occuparsi dei delitti riservati alla Congregazione stessa, tra cui l’abuso di minori compiuto da chierici. In materia di abusi, però, non si possono omettere di ricordare alcune “sviste” come quella relativa all’episcopato cileno, prima difeso dal Pontefice, che poi, di fronte a prove inoppugnabili, ha dovuto prendere gli opportuni provvedimenti.
Sul fronte italiano il pontificato di Jorge Mario Bergoglio si è caratterizzato per un rapporto con l’episcopato italiano che potremmo definire di obbedienza dialettica da parte dei vescovi. Il Papa argentino ha chiesto una semplificazione delle strutture ecclesiastiche, sia per quanto riguarda le diocesi (portando avanti, specie negli ultimi tempi, un programma di accorpamento in persona episcopi, di quelle più piccole con altre territorialmente vicine), sia promuovendo un processo sinodale che tra il 2022 e il 2025 si è articolato in varie fasi.
Innovativo è stato anche il suo rapporto con il mondo della comunicazione. Nell’itinerario di ritorno a Roma, durante i suoi viaggi, il Papa ha sempre tenuto conferenze stampa con i giornalisti al seguito, sui temi più vari. Decine le interviste concesse a testate di tutto il mondo. Così pure i libri, spesso scritti a quattro mani con i giornalisti, fino alle due recenti autobiografie.
Pure da questo punto di vista è stato un Papa delle prime volte. Un Papa che ha confermato fino all’ultimo giorno (emblematiche resteranno le foto dell'apertura della Porta Santa prima a San Pietro poi al carcere di Rebibbia, altra primizia assoluta, per il Giubileo in corso) la prima impressione suscitata nei fedeli quel 13 marzo 2013. Quando fu facile comprendere che tipo di Pontefice Jorge Mario Bergoglio sarebbe stato.