Tacciano le armi e lascino il posto al dialogo
Articolo di Avvenire.
«Imploro il Signore di muovere i cuori degli uomini di buona volontà» perché «il clamore delle armi taccia e lasci il posto al dialogo, aprendo la strada della pace per il bene di tutti». Per Leone XIV, la ricorrenza della festa nazionale dell’Ucraina, che si è celebrata ieri, è stata l’occasione per ribadire la vicinanza al popolo ucraino «che soffre a causa della guerra», attraverso un messaggio al presidente Volodymyr Zelensky, che lui stesso ha pubblicato in mattinata sul suo profilo X.
«Con il cuore ferito dalla violenza che devasta la vostra terra», ha aggiunto nel testo, «desidero assicurarvi la mia preghiera» in particolare per «coloro che sono in lutto per la morte di una persona cara e per coloro che sono privati delle loro case».
Per la «martoriata» Ucraina il Pontefice è tornato a pregare anche dopo l’angelus domenicale, dalla finestra del Palazzo apostolico vaticano. «Ci uniamo ai nostri fratelli ucraini - ha detto davanti ai fedeli e pellegrini riuniti in piazza San Pietro da vari Paesi del mondo per la preghiera mariana - i quali con l’iniziativa spirituale “Preghiera mondiale per l’Ucraina”, chiedono che il Signore doni la pace al loro Paese».
Essere costruttori e strumenti di pace nel mondo non è una missione semplice, ma è quello a cui sono chiamati i cristiani che Gesù invita, nel Vangelo di Luca proposto dalla liturgia di ieri, a «sforzarsi di entrare per la porta stretta». Questa immagine, ha sottolineato il Papa commentando il brano, fa sorgere molte domande e potrebbe far scoraggiare. «È lui la porta che dobbiamo attraversare per essere salvati - ha sottolineato il Papa commentando il brano - vivendo il suo stesso amore e diventando, con la nostra vita, operatori di giustizia e pace». Le sue parole «servono soprattutto a scuotere la presunzione di coloro che pensano di essere già salvati», ha continuato, «in realtà, essi non hanno compreso che non basta compiere atti religiosi se questi non trasformano il cuore: il Signore non vuole un culto separato dalla vita e non gradisce sacrifici e preghiere se non ci conducono a vivere l’amore verso i fratelli e a praticare la giustizia».
Il Papa poi ha ricordato come, mentre spesso ai cristiani capita di giudicare chi non crede, con l’immagine della “porta stretta” Gesù «mette in crisi “la sicurezza dei credenti”». Egli ricorda che «non basta professare la fede con le parole, mangiare e bere con Lui celebrando l’Eucaristia o conoscere bene gli insegnamenti cristiani». La fede, al contrario, «è autentica quando abbraccia tutta la nostra vita, quando diventa un criterio per le nostre scelte, quando ci rende donne e uomini che si impegnano nel bene e rischiano nell’amore».
Oltrepassare la soglia di quella “porta” di cui parla il Vangelo, ha concluso Leone XIV, significa a volte anche «compiere scelte faticose e impopolari, lottare contro il proprio egoismo e spendersi per gli altri». Correre questo “rischio” tuttavia consente di entrare, sin d’ora, «nel cuore largo di Dio e nella gioia della festa eterna che Egli ha preparato per noi».
Al termine della preghiera il Pontefice, prima di salutare tutti i fedeli presenti, ha espresso vicinanza alla popolazione di Cabo Delgado, in Mozambico, vittima di una situazione di violenza che continua a provocare morti e sfollati. «Mentre faccio appello a non dimenticare questi nostri fratelli e sorelle, - ha detto - vi invito a pregare per loro ed esprimo la speranza che gli sforzi dei responsabili del Paese riescano a ristabilire la sicurezza e la pace in quel territorio».