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  • Chiara Braga

Ora serve un progetto condiviso per il Paese

Intervista dell'Unità a Chiara Braga.

La sfida pacifista della Flotilla ha alimentato un movimento di piazza come non se ne vedeva da anni in Italia. Un movimento plurale e dove è forte la presenza dei giovani. Se lo aspettava?
È stata una straordinaria partecipazione di solidarietà, senza precedenti, un modo spontaneo e autentico con cui migliaia di cittadini, di giovani, di ragazzi delle scuole e delle università hanno voluto difendere una spedizione umanitaria.

E con loro migliaia di lavoratrici e i lavoratori che hanno scelto di scioperare per Gaza, per chiedere di fermare i crimini di Netanyahu contro i palestinesi. È vero, non capitava da anni di assistere a una protesta così sentita e di vera solidarietà: in piazza a sostegno della Flotilla e contro il blocco illegale del governo israeliano. Proprio la portata, ma anche le ragioni di tante persone in piazza hanno reso ridicole le parole della presidente Meloni secondo la quale si voleva solo mettere in difficoltà il suo governo e forzare il blocco navale israeliano. Niente di più lontano. Un presidente del Consiglio non dovrebbe attaccare un movimento civile che sta portando avanti un’iniziativa umanitaria, ma piuttosto difendere chi vi partecipa. E magari condividere l’obiettivo politico: la necessità urgente di fermare il massacro dei civili a Gaza. Lo ha detto la nostra segretaria Elly Schlein: l’Italia è migliore di chi oggi la governa. Colgo l’occasione per ringraziare i rappresentanti del Pd che hanno fatto parte della Flotilla, a iniziare dal collega Arturo Scotto, poi la nostra europarlamentare Annalisa Corrado e il consigliere regionale della Lombardia Paolo Romano che con generosità e determinazione hanno seguito la spedizione e richiamato costantemente l’attenzione di opinione pubblica e governo su quanto stava accadendo. E un grazie ovviamente a tutti i volontari che non hanno mai esitato nel mettersi a disposizione di un’impresa che ha avuto anche momenti di tensione e preoccupazione.
Cosa dovrebbe insegnare alla sinistra, al Pd, la vicenda della Flotilla e il movimento che chiede la fine del genocidio a Gaza e il riconoscimento dello Stato palestinese?
Fuori dai palazzi, c’è un paese che vuole partecipare, fare sentire la propria voce, influenzare le decisioni. Un movimento che la sinistra deve ascoltare, rendere partecipe. Un movimento che accompagna il lavoro che si fa nelle aule parlamentari. Non dimentichiamoci che mentre la Flotilla si avvicinava come mai nessuno prima alle coste di Gaza, Pd Avs e M5S presentavano in Aula una risoluzione congiunta che chiedeva ancora una volta cose molto simili: cessate il fuoco, rilascio degli ostaggi, riconoscimento della Palestina. Oltre ovviamente all’apertura di canali per l’arrivo di alimenti e beni di prima necessità. E al tempo stesso si dava un’apertura di credito al governo con l’astensione sulla risoluzione di maggioranza sul piano Trump: un segnale di attenzione a quello che può essere un primo passo verso la pace. Per questo abbiamo accolto con sollievo l’accordo sulla tregua. Il cammino della pace sarà ancora lungo, ma oggi è un passo decisivo, con il cessate il fuoco permanente, il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e il ritiro dell’esercito israeliano, per cui vanno ringraziati gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. A questo punto Italia ed Europa recuperino un ruolo nella ricostruzione di Gaza e nell’assicurare ogni supporto alla popolazione palestinese martoriata, a partire dal pieno accesso di tutti gli aiuti necessari e dal loro coinvolgimento nel processo di pace. Ora serve che tutti rispettino l’accordo e che si prosegua con tutti gli altri passi indispensabili per garantire la soluzione politica dei “due popoli e due Stati”, con il riconoscimento dello Stato di Palestina e la fine dell’occupazione illegale in Cisgiordania, unica via per una pace giusta e duratura in Medio Oriente.
Per essersi schierata con gli attivisti della Flotilla, Elly Schlein è stata tacciata di movimentismo, veteropacifismo, subalternità a questo o quello. C’è stato anche un “fuoco amico”. La sua leadership è a rischio?
Io ho visto solo l’accoglienza che ha ricevuto nelle piazze dove è andata la Segretaria del nostro partito a testa alta per il lavoro dei nostri parlamentari e dei nostri militanti. Stiamo attraversando una fase delicata. Il piano siglato in Egitto ha aperto un canale importante: dobbiamo lavorare perché sia una pace vera non solo una tregua. E a questa soluzione con tutti i limiti e tutte le contraddizioni che riconosciamo, il Pd e le altre forze con cui vogliamo costruire un’alternativa di governo hanno scelto di dare un’opportunità. Dobbiamo tornare a parlare e a lavorare senza sosta per la pace, anche quando sembra di essere controcorrente o idealisti. Io sono convinta che il senso di indignazione che è venuto dalle piazze di tutto il mondo, abbia contribuito a spingere le parti in causa a mettersi intorno a un tavolo perché anche le bandiere servono: le tregue le firmano i politici, ma la pace la chiedono i popoli.
Dopo le Marche, la Calabria e la Toscana. Quali ricadute nazionali del voto in questa prima tranche delle elezioni regionali?
Come dicevo siamo impegnati da tempo a costruire l’alternativa. Un obiettivo che si costruisce in Parlamento ma soprattutto nelle piazze e tra le persone. Nonostante il lavoro del Pd nelle regioni dove si è votato, i risultati non si raccolgono ovunque subito e con facilità. Serve smontare una narrazione, che il paese sta bene e che tutto va bene, serve ascoltare le preoccupazioni, i problemi delle persone e costruire le risposte credibili e funzionanti. Ci stiamo lavorando, ogni giorno, per difendere il lavoro e renderlo più stabile, sicuro e pagato il giusto per consentire una vita dignitosa. Ci stiamo lavorando difendendo la sanità pubblica, perché nessuno più debba rinunciare a curarsi chiedendo al governo di restituire quei 13 miliardi di euro che intende tagliare nei prossimi anni. Ci stiamo lavorando per garantire una scuola che prepari il futuro dei giovani senza che debbano lasciare il nostro paese e servizi che rendano la vita delle persone più semplice. Dalle regionali ci viene il messaggio che è necessario far tornare a votare chi non crede più nella politica. L’astensionismo elevato, superiore al 10% rispetto alle precedenti elezioni, ha influito negativamente sul risultato. Non è consolatorio vincere di fronte alla maggioranza degli elettori che non partecipa: spetta a tutti capire le ragioni di tale disillusione. Quando si perde non va tutto bene. Ma la strada della convergenza con le altre forze di opposizione è quella giusta. Lo ha dimostrato chiaramente l’ottimo risultato in Toscana dove ha vinto la coalizione progressista su un progetto di buon governo, una coalizione che ora ha la forza per andare avanti: l’impegno per arrivare a una candidatura e a un programma condiviso ha dato frutti. Del resto, in Toscana come altrove, su molti temi abbiamo fatto proposte comuni, ora dobbiamo essere capaci di un progetto per il paese, originale e condiviso. Fin qui ci siamo impegnati molto – prima fra tutti la Segretaria Schlein – per costruire l’alleanza che si è presentata unita dal Veneto alla Calabria. Da qui al prossimo anno e mezzo dovremo darci un profilo e elementi di fondo ancora più evidenti in cui sia chiaro che vogliamo un paese più giusto. Ora continueremo a far crescere la coalizione con idee e determinazione certi che i risultati continueranno ad arrivare.
La presidente del Consiglio si fa vanto di successi ottenuti in economia e sull’occupazione. È vera gloria? E come il PD si attrezza per lo scontro, politico e parlamentare, sulla manovra di bilancio?
Nel prossimo triennio, l’economia italiana registrerà una crescita inferiore rispetto alle stime ufficiali del governo. Nel 2026, addirittura, le misure previste dalla legge di bilancio avranno un effetto negativo sul Pil, a causa della frenata degli investimenti e della debolezza della domanda interna. È un dato preoccupante, che conferma le criticità che denunciamo da tempo: il governo finora si sta appoggiando al sostegno temporaneo del Pnrr, senza il quale l’Italia sarebbe già in recessione, e manca completamente di una visione strategica per rilanciare l’economia nazionale. Le proposte contenute nel Documento programmatico - come il lieve taglio dell’Irpef o gli incentivi rivolti alle imprese - sono interventi limitati e insufficienti ad attivare una vera crescita. Non affrontano i nodi fondamentali legati alla produttività, all’innovazione e alla modernizzazione del sistema economico. In più dal 2027, quando gli effetti del Pnrr inizieranno a scemare, il Paese rischia di ritrovarsi in una fase di stagnazione prolungata che avrà effetti sugli stipendi delle persone, sui servizi fondamentali. È l’ennesima prova che politiche improntate al rigore e all’immobilismo non bastano a far uscire l’Italia dall’impasse. Servono scelte coraggiose: più investimenti pubblici strutturali, lavoro stabile e di qualità, e un piano industriale all’altezza delle sfide della transizione ecologica e digitale. Invece niente per le pensioni, nulla per gli enti locali, 13 miliardi in meno per la sanità pubblica. Di politiche industriali neanche a parlarne e i servizi pubblici essenziali a rischio di tenuta. Un governo che colpisce sia le imprese che le famiglie. Crescono solo quei tagli che fanno aumentare le disuguaglianze; cresce anche la pressione fiscale mentre viene annunciato l’ennesimo condono. Avremo un’altra manovra all’insegna della propaganda, ma con quella gli italiani non fanno la spesa, né progettano il loro futuro.

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