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Mamdani è il nuovo sindaco di New York

Articolo pubblicato da La Stampa.

La vittoria a sindaco di New York di Zohran Mamdani è una sequenza di prime volte. Il primo Millenial (ha appena compiuto 34 anni), il primo musulmano, il primo asiatico. E non sono neanche gli aspetti più curiosi della sua storia.

Sua madre, Mira Nair, è una regista nata in India, laureata ad Harvard e residente a New York, nota per aver diretto film amatissimi dal pubblico e della critica come il candidato all’Oscar come miglior film straniero "Salaam Bombay!", il vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2001 “Monsoon Wedding" e anche "Mississippi Masala", storia d’amore interrazziale tra un afroamericano interpretato da Denzel Washington e una indiana americana.
Il padre, Mahmood Mamdani, è professore alla Columbia University dove insegna governo, antropologia e studi africani. I genitori si sono conosciuti in Uganda, dove è cresciuto il padre, mentre la madre era lì per condurre ricerche per un suo film. È qui che Zohran è nato. A New York ci è arrivato quando aveva sette anni, da immigrato figlio di genitori non nati negli Usa. È diventato cittadino americano solo nel 2018.
Prima di entrare in politica, ha lavorato come consulente per la prevenzione dei pignoramenti e anche come produttore musicale e come rapper con il nome di Mr. Cardamom: i suoi video sono rispuntati di recente e subito diventati virali grazie a canzoni come "Nani", un rap dedicato a sua nonna. Di recente, l’attrice premio Oscar Lupita Nyong’o ha raccontato di aver conosciuto un giovanissimo Zohran quando, giovanissima, aveva fatto uno stage nella casa di produzione della madre. Più tardi i due si sono ritrovati insieme in Uganda sul set del film “Queen of Katwe”, dove Mamdani lavorava come assistente alla regia. A parte la parentesi da rapper, prima di entrare in politica, Mamdani ha lavorato come consulente per l'edilizia abitativa, aiutando i proprietari di case a basso reddito nel Queens. Noto per il suo attivismo, ha partecipato con successo a uno sciopero della fame insieme ai tassisti per ottenere oltre 450 milioni di dollari di riduzione del debito e si è battuto per maggiori investimenti nel trasporto pubblico.

Articolo della Stampa.

Zoran Mamdani sarà il prossimo sindaco di New York. Primo musulmano e più giovane a entrare a City Hall al termine di una corsa definita appena 9 mesi fa “improbabile” ma finita nel tripudio. Quando lo scrutinio stava volgendo al termine 1 newyorchese su due (50,4%) aveva votato per questo figlio di immigrati venuti dall’India e nato in Uganda. Il suo rivale, l’indipendente Andrew Cuomo, si è fermato al 41,6%; il repubblicano Curtis Sliwa ha racimolato il 7%.
Dopo gli anni di Eric Adams, azzoppato da accuse di corruzione e ritiratosi dalla contesa per il bis, New York cambia radicalmente quindi e sceglie il candidato giovane della affordability, della sostenibilità economica e sociale che ha promesso trasporti gratis, prezzi delle case congelate, più tasse a corporation e ai ricchi, negozi con prezzi calmierati.
Hanno votato 2 milioni di persone, un record assoluto, e quasi il doppio rispetto all’ultima tornata. Già alle 9:06 – sei minuti dopo la chiusura delle urne – i primi exit poll assegnavano un vantaggio netto a Mamdani. Alle 9.35 le tv hanno dichiarato il vincitore. Un’ora dopo Andrew Cuomo ha tenuto il discorso di resa, riconoscendo la vittoria dell’avversario ma sottolineando che il mandato del rivale è zoppo, «poiché un newyorchese su due non lo ha sostenuto». «Questa campagna è stata la giusta lotta», ha detto.
Il candidato progressista – esponente del movimento socialista d’America – ha prevalso in quattro dei cinque borough, distretti di New York. Ha vinto nettamente a Brooklyn e nel Bronx, comodamente a Manhattan e meno ampiamente nel Queens. Il conservatore Staten Island gli ha preferito Cuomo.
Il primo commento del neosindaco – si insedierà in gennaio – è arrivato con un video già diventato virale. La metropolitana si ferma alla stazione di City Hall (quella del municipio). Si vede la scritta e una voce dice: ultima fermata.
Sui social è stato postato un video che lo ritrae mentre festeggia nel Paramount Theatre insieme ai sostenitori che hanno seguito con lui lo spoglio. Presenti in sala star come l’attrice Cynthia Nixon, la procuratrice Letitia James e il comico Hassan Minaj.
Mamdani è apparso davanti al suo pubblico per il discorso della vittoria alle 23.15. «Abbiamo rovesciato una dinastia politica», ha detto augurando a Cuomo «ogni bene nella via privata» ma augurandosi di non vederlo più in giro sulla scena pubblica. Mamdani ha ringraziato i 100mila volontari, la famiglia, il team e rilanciato davanti a una folla trionfante i capisaldi della sua agenda: affitti congelati, trasporti pubblici, e sanità universale. Ha chiuso guardando dritto in camera rivolto a Trump lanciandogli gli sfida: «Ho quattro parole per te, alza il volume».
La vittoria di Mamdani è stata la ciliegina sulla torta di una serata da incorniciare per i democratici e da incubo per i repubblicani. Se la partita di New York sembrava chiusa da settimane con i sondaggi che attestavano il vantaggio incolmabile di Mamdani, l’attenzione dei “guru” di Washington era volta alla corsa per governatori della Virginia e del New Jersey. Entrambe le sfide sono state vinte – e nettamente dai democratici. A Richmond si insedierà Abigail Spanberger, centrista moderata, ex agente della Cia e deputata per 6 anni. Sarà la prima donna a guidare lo storico Stato che ha lanciato diversi personaggi sulla ribalta internazionale. A Trenton invece governerà Mikie Sherrill. Ha battuto Jack Ciattarelli, al terzo tentativo, in maniera solida andando oltre i dubbi dei sondaggi. Il New Jersey era il sogno di Trump. Sino all’ultimo ha spinto la candidatura di Ciattarelli forte anche dei dati delle scorse presidenziali che avevano sì premiato Kamala Harris ma con un margine insolitamente ridotto.
Infine, la California ha dato il via libera (Proposition 50) alla riscrittura dei confini dei distretti elettorali. L’obiettivo è quello di avere cinque seggi in più per i dem alla House e bilanciare così il guadagno grazie al redistricting in Texas per i repubblicani.
Due sono i dati che emergono dal voto in Virginia e in New Jersey. Il primo è che Spanberger si è imposta anche in alcune contee che avevano votato Trump un anno fa esatto. Il secondo è che secondo gli exit poll, gli elettori sono andati alle urne con in testa “la precaria situazione economica”. Ancora una volta, insomma, il costo della vita ha pesato. Ed è un messaggio sonoro cui Trump e i suoi dovranno tenere in considerazione in vista del voto di Midterm del novembre 2026.
Il presidente Trump ha commentato la sconfitta prendendone di fatto le distanze. Con un post su Truth ha detto che il suo nome “non era sulle schede” e che la responsabilità è dello shutdown. Oggi riceverà a colazione tutti i senatori repubblicani (curiosità per capire chi non si prenderà).
Si è complimentato con tutti i vincitori invece Barack Obama che ha sottolineato che, quando si parla di temi concreti e reali, il partito vince. Ha invitato a guardare con ottimismo al futuro lavorando partendo proprio da questa concretezza.
Ed è proprio questa la sfida che da domani avrà davanti il partito democratico. Per i repubblicani invece si tratta di capire come fare a vincere quando l’effetto traino di Donald Trump non c’è. L’interrogativo è di semplice formulazione e difficile soluzione. Come si porta alle urne il popolo Maga per votare quando Trump non è della partita?

 

 

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