Lasciate riposare la terra
Discorso alla Città pronunciato dall'Arcivescovo Mario Delpini nella Basilica di Sant’Ambrogio.
La compassione di Gesù per la folla che vaga nello smarrimento, «come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34), è il sentimento di molti che considerano la situazione del nostro territorio e del mondo in cui viviamo.
L’accumularsi dei problemi, i disastri che affliggono popoli, famiglie, ambienti, i comportamenti spesso incomprensibili e le situazioni sconcertanti mi raggiungono come parole, gemiti, invocazioni, grida di rabbia, suppliche.
Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione.
Perciò prego e invito a pregare con il Salmo 22: è la contemplazione dell’opera di Dio che accompagna il cammino tribolato dei suoi figli e non li abbandona mai. Procura il riposo dalla stanchezza, la sicurezza nello spavento, il coraggio di fronte alle minacce, la serenità nella valle oscura.
L’umanità è stanca e chi come noi, radunati per questo appuntamento in occasione della festa di sant’Ambrogio, ha responsabilità per il bene comune deve sentire il compito di procurare sollievo.
In nome di Dio io chiedo a tutti noi di esplorare vie per dare sollievo. In nome di Dio, lasciate riposare la terra! Abbiate compassione di voi stessi, dei vostri contemporanei, dei vostri figli e trovate il modo di far riposare la terra!
1 – Segni di stanchezza
Di che cosa è stanca la gente?
La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. È stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. È stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. È stanca perché è stata derubata dell’“oltre” che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro.
La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune.
La gente non è stanca della vita di famiglia, perché la famiglia è il primo valore, e il bene più necessario per la società, è la trama di rapporti che dà sicurezza, incoraggia, accompagna. La gente è stanca della frenesia che si impone alla vita delle famiglie con l’accumularsi di impegni e delle prestazioni necessarie per costruire la propria immagine, per non far mancare niente ai figli, per non trascurare gli anziani. La gente è stanca di quell’impotenza di fronte a un clima deprimente che avvelena i pensieri, i sogni, le emozioni dei più fragili, che induce tanti adolescenti a non desiderare la vita.
La gente non è stanca dell’amministrazione, dei servizi pubblici, delle forze dell’ordine, della politica, perché è convinta che la vita comune abbia bisogno di essere regolata, vigilata, organizzata. La gente è stanca, invece, di una politica che si presenta come una successione irritante di battibecchi, di una gestione miope della cosa pubblica. La gente è stanca di servizi pubblici che costringono a ricorrere al privato, di un’amministrazione che non sa valorizzare le risorse della società civile, le iniziative della comunità per l’educazione, l’assistenza, l’edilizia, la sanità. La gente è stanca del pettegolezzo che squalifica le persone.
La gente non è stanca della buona comunicazione, perché la comunicazione è il servizio necessario per avere un’idea del mondo. Invece la gente è stanca di quella comunicazione che raccoglie la spazzatura della vita e l’esibisce come se fosse la vita, stanca della cronaca che ingigantisce il male e ignora il bene, stanca dei social che veicolano narcisismo, volgarità e odio.
Per favore, lasciate riposare la gente!
Di che cosa è stanca la terra?
La terra non è stanca dell’uomo, perché sa di essere creata affinché l’uomo e la donna vivano e generino vita, si amino e abitino la terra, coltivino il giardino preparato dal Creatore perché tutti i figli degli uomini vivano e siano contenti di vivere. Tuttavia quando l’uomo in questa casa comune, luogo di crescita, di ristoro, di contemplazione, dove tutto è in connessione vitale, sconfina dal suo ruolo di custode volendo diventare padrone e dominatore assoluto – sostituendosi a Dio – l’equilibrio vacilla e sono rovinate le connessioni vitali. Subentrano il male, la malattia, la guerra, le devastazioni che poi si ripercuotono sull’umanità e sulla creazione tutta. La terra è stanca di quel modo di lavorare la terra, la sua veste e le sue viscere, quando si sfruttano con avidità insaziabile le risorse. La terra è stanca di quel modo di abitare la terra che la riduce a una discarica, di quel modo di vivere il presente che non si cura del futuro e delle minacce del deserto, del calore, dell’aria che respireranno le generazioni a venire. La terra è stanca e geme, grida, protesta: gli sconvolgimenti climatici sono, dal punto di vista della terra, una ribellione contro un equilibrio infranto, un’alleanza tradita. La terra è stanca della guerra e geme e invoca con la voce del sangue di molti fratelli che “grida a Dio dal suolo” (Gen 4,10).
La terra non è stanca nell’offrire i suoi doni per il sostentamento e per la festa dei figli degli uomini. Per questo è stata creata e per questo deve essere custodita e coltivata. Per questo si abbellisce e si presenta ordinata e ospitale. La terra è stanca di quel modo di pretendere i suoi frutti che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri, di quello sfruttamento che mortifica la vita e moltiplica i guadagni. La terra è stanca della stupidità che avvelena le acque e l’aria.
La terra non è stanca degli animali che sono di compagnia per chi è solo, rendono servizi preziosi, nutrono e allietano la vita. Gli animali fanno giocare i bambini, sorridere gli anziani e offrono aiuto nella riabilitazione di chi ne ha bisogno. La terra è stanca degli animali che invadono in modo sproporzionato le case, gli affetti, le risorse, il tempo della gente e sembra talora che prendano il posto dei bambini. È stanca di quel modo di sfruttare gli animali che manca di pietà e di buon senso.
Per favore, lasciate riposare la terra!
Di che cosa è stanca la città?
La città non è stanca delle case, perché le case, gli uffici, le strutture pubbliche e private sono la vita e la sostanza della città. La città è stanca delle case abbandonate al degrado, del consumo avido del suolo, delle aree inutilizzate, delle case che potrebbero ospitare persone e che sono invece vuote per calcoli meschini, per paura verso chi cerca un’abitazione, per evitare fastidi. La città è stanca delle case occupate e sottratte a chi ne ha diritto.
La città non è stanca dei turisti, perché desidera essere conosciuta, ammirata per la sua storia e le sue bellezze. La città è stanca dei turisti che l’affollano senza rispetto, che invadono le case con passaggi rapidi e la spopolano di residenti. La città è stanca dei turisti frettolosi che considerano i tesori cittadini solo come oggetti da fotografare invece che come racconti di storia, testimonianza di fede, bellezze da contemplare.
La città non è stanca delle piogge e del vento, perché accoglie l’acqua che feconda la terra e si lascia accarezzare dal vento che sparge semi e pollini. La città è stanca di quell’acqua che esonda e invade case e negozi, blocca strade e fa impazzire il traffico; è stanca di quel vento che sradica gli alberi e li scaraventa su passanti, strade, auto. La città è stanca di quella superficialità che trascura quanto può prevenire alluvioni, incendi e i disastri che ne vengono.
Per favore, lasciate riposare la città!
2 – L’occasione del Giubileo
In ogni cultura e religione il tempo non è lo scorrere delle ore e dei giorni nella durata interminabile e anonima, ma è un ritmo che in sintonia con la natura dà un significato all’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni e degli anni. L’interpretazione del tempo in molte tradizioni religiose prescrive la festa per rendere culto alla divinità e per rendere possibile ai devoti il riposo e la gioia.
La comunità cristiana celebra la domenica come il tempo della grazia in cui Dio opera per radunare i suoi figli, per offrire riposo, per celebrare la speranza del Regno, per propiziare l’incontro, la festa, la contemplazione.
Nelle Sacre Scritture sono prescritti il riposo settimanale, le feste annuali. L’antica legge comanda di celebrare gli anni del Giubileo come anni di riconciliazione sociale con la remissione dei debiti e di riposo della terra come momento di grazia. Dal libro del Levitico (Lv 25,8-13):
Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.
In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà.
La tradizione dell’Anno Santo come anno di speciale indulgenza e riconciliazione è stata ripresa dalla Chiesa cattolica fin dal 1300 e ogni venticinque anni essa ripropone l’anno giubilare.
Papa Francesco ha indetto l’Anno Santo nel 2025 con la bolla Spes non confundit e invita tutti a essere pellegrini di speranza.
Il Giubileo segna il tempo e invita a una pausa nel nostro “fare” che è come costretto da un ingranaggio fatale. Una pausa in cui potersi porre le domande “economiche” veramente essenziali: che cosa ho ricevuto? Che ne ho fatto? Che cosa ho generato? «Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?» (Mt 16,26).
Il Giubileo contiene un messaggio di giubilo, di gioia, di sollievo che deve interpretare la stanchezza della gente, della terra, della città come appello, provocazione, indicazione di cammino.
Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo “contemplativo”, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali (cfr. Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, Il pianeta che speriamo, 2021).
Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il Papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del “principio sabbatico”: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo. Il “principio sabbatico” custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra.
Desidero ora prendere spunto dalla ricorrenza del Giubileo per immaginare e raccomandare l’attenzione della società civile, delle istituzioni, il coinvolgimento di tutti per cogliere l’occasione. Il convergere di uomini e donne di buona volontà può rendere possibili passi coraggiosi e interventi significativi per aggiustare il mondo.
3 – Il condono dei debiti
I debiti dei poveri - Quando il reddito del lavoro non basta per il sostentamento della famiglia, per la continuità di una attività produttiva, aumenta il numero di coloro che non hanno il necessario per vivere, anche a Milano, anche in Lombardia. Quando si sviluppano dipendenze indotte o colpevoli, uomini e donne percorrono vie senza uscita e cadono nella disperazione.
I fenomeni del sovraindebitamento, del precipitare in condizioni di vita indegne della persona umana devono essere affrontati. Il sistema del credito ha qualche cosa di malato, se invece di incoraggiare la buona volontà di chi cerca di uscire dalla povertà esclude con spietata indifferenza i poveri.
Faccio appello a considerare con serietà le vie per il condono dei debiti, per forme di alleanza, di mutuo soccorso, di ripensamento del sistema bancario, perché troppa gente è disperata e troppe situazioni favoriscono l’immissione di denaro sporco e condannano a entrare negli ingranaggi perversi dell’usura.
I debiti dei ricchi - C’è anche un debito dei ricchi. Chi si è arricchito con la sua intraprendenza, grazie alle condizioni favorevoli, traendo vantaggio dalla collaborazione di molti o dalla vicenda familiare è in debito verso coloro che si sono impoveriti. La ricchezza onesta è una responsabilità sociale. È sapiente quel modo di intendere il profitto, conseguito con la collaborazione e la fatica di tutti, come una risorsa per ognuno, non solo come un dividendo per arricchire gli investitori.
In questo anno giubilare è doveroso per me ricordare la parola del Signore che mette in guardia dal pericolo delle ricchezze: «Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (Lc 18,24). Il Giubileo è offerto anche ai ricchi come tempo di grazia. Il primo modo di contribuire al bene comune da parte di tutti è il pagamento delle tasse: si tratta di giustizia, doverosa e determinata.
La restituzione delle ricchezze nell’esercizio di una matura responsabilità non potrà essere la beneficenza, ma piuttosto un investimento per dare riposo alla gente, alla terra, alla città.
Molte cose possono fare coloro che hanno ricchezze. Ad esempio:
– creare condizioni di lavoro più sicure, adeguatamente remunerate, con orari meglio compatibili con la vita familiare e sociale;
– contribuire a progetti per riqualificare aree dismesse e rendere la città abitabile per le famiglie;
– investire per l’ecologia integrale nei diversi ambiti della produzione e della cura per le famiglie, per persone con disabilità, per anziani soli;
– promuovere il volontariato, espressione di cura e gratuità, in particolare quello che avvicina il povero. Un volontariato rinnovato per passare dall’elemosina alla condivisione; dal dono di cose al dono di sé; dal gesto occasionale allo stile di vita; dalla delega al coinvolgimento di tutti e di tutta la comunità per migliori condizioni di vita e di rapporti, semi di rinnovamento di un sistema ammalato;
– in occasione del cinquantesimo anniversario di Caritas Ambrosiana impegno la Diocesi di Milano perché, insieme a tutti coloro che hanno una responsabilità in questo ambito, venga promossa un’opera significativa su un tema particolarmente urgente come quello della casa per tutti.
Le ricchezze maledette - Da qualche parte si accumulano ricchezze maledette, procurate con l’usura, lo spaccio di droga, la vendita della pornografia, la creazione di dipendenza dal gioco d’azzardo.
Le ricchezze maledette gridano vendetta al cospetto di Dio.
In questo anno giubilare deve risuonare l’invito alla conversione, a riparare il male compiuto, a restituire quanto è possibile. Alcuni danni provocati sono irreparabili. Ci sono però opere buone per prendersi cura delle persone danneggiate con traffici illeciti ed estorsioni violente.
“Guai a voi ricchi”, ha gridato Gesù.
“Guai a voi ricchi di ricchezze maledette!” gridiamo noi facendo eco a sant’Ambrogio, per esortare a riparare ai danni causati alle persone, alle famiglie, alla società.
Quanti vengono uccisi affinché voi abbiate a disposizione ciò che vi piace! Funesta è la vostra fame, funesta la vostra intemperanza. Uno precipita dall’alto del tetto per costruire grandi magazzini per il vostro frumento. Un altro cade dalla cima di un alto albero, mentre esamina quali uve cogliere con cui fare vini degni della tua mensa. Un altro annega in mare per non far mancare pesci o ostriche alla tua tavola. Un altro muore assiderato dal freddo invernale, mentre va a caccia di lepri o tenta di prendere uccelli al laccio. Un altro che non abbia soddisfatto qualche tuo desiderio, viene battuto fino alla morte di fronte ai tuoi occhi, spruzzando sangue anche sui cibi. […] Ho visto personalmente un povero messo in catene perché costretto a pagare quello che non aveva, condotto in carcere perché mancava il vino alla tavola del padrone (Ambrogio, Naboth, 5,20-21, SAEMO 6, 143-145).
La ricchezza disonesta, maledetta, non trova nel Vangelo una condanna senza appello: Zaccheo, il ricco disonesto, fa esperienza della simpatia di Gesù che lo ricolma di gioia e lo convince alla doverosa restituzione e alla generosa riparazione. Il Giubileo è un’accusa severa e anche un invito a conversione per chi accumula ricchezze maledette che portano maledizione anche in casa sua.
4 – La cura per il “servo buono e fedele”
Alcune delle professioni più direttamente dedicate al bene delle persone sono diventate particolarmente faticose e inadeguatamente retribuite.
L’opera educativa - L’insegnamento nelle scuole, il sostegno alle persone con disabilità, l’impegno degli educatori di strada, la proposta degli oratori secondo la tradizione ambrosiana, le forme di provvidenza delle pubbliche amministrazioni per situazioni familiari o personali di bisogno sono spesso imprese faticose, frustranti per un contesto ostile, violento, pieno di pretese e allergico alla corresponsabilità.
Nell’opera educativa non è raro lo scoraggiamento nel constatare che tutto l’impegno e la buona volontà non bastano a salvare gli adolescenti e i giovani dalla depressione, dalla chiusura su sé stessi, dall’esperienza drammatica di non aver voglia di vivere.
Capita pertanto che gli insegnanti, gli educatori, gli assistenti sociali e anche i preti, i consacrati e le consacrate, insomma tutti coloro che dedicano la loro professionalità ad affrontare responsabilità educative e assistenziali, siano stanchi, logorati da un carico di lavoro che si confronta con inedite resistenze e affaticati da adempimenti burocratici sproporzionati.
L’anno giubilare può essere l’occasione per le istituzioni per dare sollievo a operatori stanchi con riconoscimenti più concreti, con simpatia e stima più evidenti, con una semplificazione della burocrazia.
C’è una promessa perché i giovani siano autorizzati a sperare?
I ragazzi e le ragazze guardano agli adulti, ascoltano i genitori, gli insegnanti, i preti, ricevono informazioni dai media, sono talora coinvolti nei comizi dei politici. Ho l’impressione che spesso si chiedano: ma vale la pena di diventare adulti, se gli adulti sono così spesso scontenti, arrabbiati, incapaci di dire una parola che benedica la vita?
Il sollievo così atteso non è auspicato solo dalle tante stanchezze riconosciute; esso è domandato con forza dal futuro, dai giovani assetati di vita e spaventati dalle logiche malvagie e distruttive che vedono in atto. A loro siamo debitori di un impegno straordinario perché, in una rinnovata alleanza tra generazioni, anch’essi possano sperare e dunque mettersi in gioco per far procedere la realtà su strade di bene.
Il sanitario e il socio-sanitario - La cura per la prevenzione e l’educazione sanitaria, la cura per i malati, ospedaliera e domiciliare, il supporto alle famiglie che si fanno carico di persone con disabilità, il personale degli istituti che operano nel socio-sanitario sono un patrimonio inestimabile di attenzione alle persone.
Prendersi cura delle persone che si trovano in condizioni di disagio richiede una professionalità e uno spirito di dedizione che non possono non attraversare momenti di stanchezza nell’esercizio della pazienza, nella molteplicità di relazioni, non tutte serene e simpatiche, che si devono costruire.
La comunità che agisce per un’autentica promozione della salute non deve dimenticare le cause sociali della malattia, prediligendo i più fragili, perché non ricevano solo risposte emergenziali ma anche di prevenzione e cura nella cronicità e progettando interventi incentrati sull’equità e sulla partecipazione dei tanti soggetti diversi, pubblici e privati, istituzionali e informali, sociali e sanitari perché siano armonizzati in un’unica responsabilità pubblica capace di raggiungere tutti.
L’anno giubilare può essere per la società, per le istituzioni amministrative, per i responsabili della politica nazionale l’occasione per esprimere la gratitudine, offrire il sostegno, retribuire adeguatamente le persone che lavorano in questi contesti e sostenere le istituzioni che operano con lungimiranza e concretezza in ambito sanitario e socio-sanitario.
L’Anno Santo può essere l’occasione per ricostruire nell’opinione pubblica in modo realistico la stima e la gratitudine per coloro che lavorano nel “sanitario”: esaltati come eroi durante la pandemia, oggi si ritrovano sovraesposti, aggrediti e additati come i soli responsabili di un servizio indispensabile, di un diritto che non riesce a essere adeguato ai bisogni di tutti, tanto meno dei poveri.
5 – L’educazione alla pace
Non è insignificante l’educazione al gesto minimo di non buttare la carta per terra. Ma che cosa pensare di Paesi dove si sganciano bombe dappertutto, dove la guerra distrugge, avvelena, rovina la vita delle persone, l’ambiente e la storia di popoli oppressi da troppi anni di umiliazioni e violenze?
Rimangono inascoltati gli appelli di papa Francesco per cercare soluzioni diplomatiche ai conflitti in atto; non interessano ai potenti le lacrime e le ferite inguaribili nell’anima e nel corpo degli innocenti.
Noi tutti siamo stanchi della guerra, delle notizie di guerra e delle ragioni addotte per giustificarla. Siamo stanchi e ci sentiamo impotenti e inascoltati quando chiediamo pace.
L’anno giubilare può essere il tempo propizio per diventare pellegrini di speranza, per farci carico dell’educazione alla pace nelle scuole, negli oratori, nelle attività culturali, nella pratica sportiva, in ogni ambito della vita sociale.
L’educazione alla pace chiede un impegno costante per estirpare le radici dell’odio e della violenza sparse dappertutto e che talora esplodono tragicamente tra le pareti domestiche, nelle vie della città, negli stadi. Ha bisogno di una cultura di pace che rilegga la storia e ne impari la lezione: la guerra è sempre una sconfitta, una sciagura per vincitori e vinti, scatena sempre reazioni e vendette che producono frutti avvelenati.
L’educazione alla pace ha bisogno di una spiritualità che sa pregare, che riconosce in Dio l’unico Padre e dunque coltiva il seme di fraternità che è seminato in ogni uomo e in ogni donna, sotto ogni cielo.
L’educazione alla pace è possibile per un’alleanza educativa che sappia coinvolgere famiglie, espressioni aggregative della società civile, della comunità cristiana, delle confessioni cristiane presenti nel territorio, dei fedeli di tutte le religioni. Ha bisogno di nuovi pensieri e di nuovi sogni, di nuove politiche e di nuovi profeti per rimuovere le cause dei conflitti che si annidano nelle ingiustizie, nelle violenze, nella corruzione, nell’abuso dell’ambiente, nella disumanizzazione del nemico.
6 – La cura per la terra e per la città
L’ambiente in cui viviamo è stanco dell’indifferenza, dell’ottusità, della spensieratezza, dell’aggressione violenta: sembra che la vita serena e sicura sia diventata impossibile.
La vita è vulnerabile. Questa fragilità è un’opportunità se abbiamo immaginazione e coraggio per attivare quell’atteggiamento condiviso di cura che può rimediare ai danni causati dall’uomo. La cura nasce dalla conversione ecologica nel rapporto con il creato. Richiede una pratica di rispetto verso Dio, verso i nostri simili di oggi e di domani, verso tutta la natura, verso noi stessi.
Nei Paesi dove ci sono le condizioni per il benessere, molti di coloro che ne godono non sembrano interessati a conoscere il prezzo del loro benessere. Ma intanto l’aria si sporca, la terra diventa deserto o palude, uomini e donne si ammalano per gli effetti dell’inquinamento. Nei Paesi dove il benessere minimo è un miraggio, i pochi benestanti del mondo scaricano impunemente i loro rifiuti, rubano le materie prime e riportano le scorie. E così il giardino piantato da Dio per ospitare i suoi figli rischia di diventare una discarica invivibile.
Per cambiare rotta, per un altro stile di vita si avverte talora nella nostra società il convenire promettente di tutte le competenze scientifiche, filosofiche, storiche. Hanno voce e autorevolezza per pretendere un comportamento rispettoso verso l’ambiente nel vivere quotidiano, per cercare fonti alternative di energia, per educare a sapienza e lungimiranza, per contrastare l’assurdità dei vandalismi, degli sprechi, dell’indifferenza.
Per l’educazione ecologica è irrinunciabile una spiritualità che rivolga il pensiero a Dio e lo senta alleato del bene comune, padre sollecito e provvidente per tutti. Dobbiamo fare nostre le parole di papa Francesco:
Non ogni aumento di potere è un progresso per l’umanità. Basti pensare alle tecnologie “mirabili” che furono utilizzate per decimare popolazioni, lanciare bombe atomiche, annientare gruppi etnici. Vi sono stati momenti della storia in cui l’ammirazione per il progresso non ci ha permesso di vedere l’orrore dei suoi effetti (Laudate Deum, 24).
Un pensiero ecologico responsabile deve avere l’audacia di prendere la parola su questi temi, in un modo che sappia farsi ascoltare e comprendere.
Con parecchie iniziative dei gruppi Laudato si’, delle comunità cristiane, di molteplici realtà ecclesiali, in questi anni la Chiesa ambrosiana ha cercato di sviluppare su questi temi dell’economia e della finanza lo sforzo della profezia. «Tutto è collegato» (Laudate Deum, 19). Non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della terra.
Gli amministratori locali sono i più vicini alla concretezza della vita delle persone, alle loro difficoltà e ai loro desideri; il loro compito è spesso arduo e la loro speranza può essere messa alla prova. Chiediamo il dono di una rinnovata capacità di corresponsabilità da parte di tutti, perché chi amministra non sia solo oggetto di attese e pretese. E chiediamo il dono del discernimento per chi ha la responsabilità di prendere decisioni. Perché insieme si possa camminare nella direzione del sollievo che un futuro buono reclama.
Conclusione - Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra.
La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite.
Uno spirito di riparazione «ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda. Una riparazione completa a volte sembra impossibile, quando beni o persone care vengono persi definitivamente o quando certe situazioni sono diventate irreversibili. Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore» (Dilexit nos, 186).
In conclusione, lasciate che io pronunci il mio elogio per la speranza e il mio appello all’alleanza nel proposito di lasciar riposare la terra, la gente, la città. In questa vigilia del Giubileo dell’Anno Santo 2025, in nome di Dio benedetto io benedico tutti voi.
Benedico voi che avete responsabilità nelle istituzioni.
Benedico voi che con serietà, onestà, intelligenza ogni mattina vi alzate e dite: «Ecco una giornata per servire il bene comune! Ecco una giornata per operare secondo diritto e giustizia perché chi è debole non sia vittima di chi è forte e prepotente. Ecco una giornata per dare sollievo alla stanchezza di vivere. Ecco una giornata per seminare il futuro!».
Benedico voi che con sincerità offrite e accogliete proposte di alleanze che uniscano le forze per contrastare il declino della società, l’esaurimento delle risorse, il dilagare dell’individualismo, per offrire riposo alla terra.
Benedico voi che operate per le minuzie e insieme tenete vivi i sogni, sapete far funzionare il presente e siete lungimiranti nei progetti sul futuro.
Benedico voi tutti che vi dedicate a educare e seminate ragioni per desiderare di diventare adulti e formate coscienze rette, disponibili alla responsabilità e al servizio.
Benedico voi che vi prendete cura e curate i malati nel corpo e nello spirito, per offrire sollievo, per assicurare attenzione, per attestare che nessuno sia abbandonato, mai.
E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri. Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere.
E benedico la città e la terra. Che sia benedetta la terra che ci ospita e ci nutre perché sia generosa di frutti, perché sia guarita e custodita come un giardino per le generazioni che verranno, perché non sopporti più la guerra e i suoi disastri; che sia benedetta la città che si dispone a ospitare la speranza, che sia abitabile dai ricchi e dai poveri, tutti chiamati a mettere a frutto i loro talenti per rispondere alla vocazione a essere «fratelli tutti».
Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire.
E riposate un po’ anche voi!