Il Giubileo iniziato è risposta alla domanda di speranza
Articolo di Padre Enzo Fortunato pubblicato da Il Sole 24 Ore.
È iniziato il Giubileo. Aperte le due porte sante: quella solenne della Basilica di San Pietro e quella meno solenne ma più attesa per il significato esistenziale e spirituale nel carcere di Rebibbia. Papa Francesco è come se avesse voluto rispondere alla domanda posta la notte di Natale: essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita.
Qual è il nostro compito? Tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. La speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nella mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia.
Ecco allora il nostro impegno, l’impegno di chi ci governa e si professa cristiano, l’impegno dei detentori di decisioni economiche che si professano anch’essi cristiani. Papa Francesco passa dalla teoria alla pratica.
Con i suoi ottantotto anni non molla la presa della vera chiave della vita: la coerenza, l’autorevolezza. «Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che tutti noi avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore per capire che la speranza non delude, non delude mai», ha detto il Papa prima di compiere il rituale.
È stato comunque un momento storico che si realizza nello stesso giorno in cui si ricorda un’altra visita, che ha segnato un’epoca, di un Papa in un penitenziario.
Il 26 dicembre 1958 Papa Giovanni XXIII, pochi mesi dopo la sua elezione al Soglio Pontificio, si recò infatti a Regina Coeli. Non era l’inizio di un Giubileo, ma uno di quei casi di corsi e ricorsi storici, come se si chiudesse un cerchio.
Chissà se la Premier Meloni, presente la sera del 24, e il Ministro Nordio, presente a Rebibbia, hanno pensato a un gesto che rimarrebbe nella storia: clemenza o amnistia. Sarebbe un segno di come tradurre la speranza nelle proprie e altrui circostanze della vita, nell’impegno che ciascuno nel propio ruolo mette in atto.
Papa Francesco non ha fatto mistero che i “pesci grossi” sono fuori dal carcere. Dentro ci sono i piccoli, gente anche buona. In gran parte sfavorita da condizioni di vita difficili. E per questo è necessario che la politica si occupi anche della situazione dei detenuti affinché il precesso di reinserimento possa essere effettivo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, il 2024 è l’anno dei record negativi: quello dei suicidi, quello delle morti in carcere, e una crescita della popolazione detenuta così sostenuta da provocare, già oggi, una situazione di reali trattamenti inumani e degradanti generalizzati. 62.153 sono le persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.320 posti. Il tasso di affollamento effettivo arriva al 132,6. A San Vittore a Milano l’affollamento effettivo ha raggiunto il 225%, a Brescia Canton Monbello il 205%, a Como e a Lucca il 200%, a Taranto il 195% e a Varese il 194%.
Sono numeri che inquietano: dietro ci sono vite umane che vogliono ricostruirsi e che chiedono un nuovo inizio attraverso il pentimento.
Che il Giubileo allora possa guidare processi concreti. “I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere”, ha ricordato il Papa, “per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire, e soprattutto, aprire i cuori alla speranza”. La paragona ad un’ancora, il Pontefice, questa speranza: qualcosa a cui aggrapparsi sempre. E la speranza non delude.