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  • Enrico Giovannini

Il capitalismo che vogliamo

Articolo di Enrico Giovannini pubblicato da Avvenire.

«Sebbene non manchino diverse teorie che tentano di giustificare lo stato attuale delle cose, o di spiegare che la razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del mercato risolvano tutto, la dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani, e la situazione di miseria di tante persone a cui viene negata questa dignità dev’essere un richiamo costante per la nostra coscienza». Così scrive Leone XIV nella recentissima esortazione apostolica Dilexi te, dedicata alla povertà, non solo quella materiale.

Il Papa aggiunge che «è compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”».
La prossima settimana il Parlamento Europeo voterà sulle proposte della Commissione Europea per “semplificare” le norme riguardanti gli obblighi delle imprese di rendicontare la loro “sostenibilità” (ambientale, sociale e governance) e “diligenza” (controllo delle emissioni di CO2 e di inquinanti, rispetto dei diritti umani, tutela della sicurezza dei lavoratori, ecc.) lungo tutta la filiera produttiva.
Sono proposte finalizzate a ridurre gli oneri burocratici che gravano sulle imprese per aumentarne la competitività, che probabilmente passeranno grazie al sostegno dei gruppi di centrodestra (compreso il Partito popolare europeo), impegnate a distruggere o “rivedere” il Green Deal.
In realtà, quello che è in discussione è il tentativo di sviluppare un vero e proprio capitalismo europeo diverso da quello americano, e non è un caso che l’Amministrazione Trump abbia imposto, nell’ambito dell’accordo sui dazi, l’impegno a esentare le imprese d’oltreoceano da questi obblighi, che in parte si applicano (a legislazione vigente) anche alle aziende non europee che vogliono vendere i loro prodotti sui nostri mercati, magari inquinando o violando i diritti umani in paesi in via di sviluppo.
Eppure, secondo le stime della Commissione, la semplificazione ridurrebbe i costi delle imprese dello 0,04%, cioè una quota minima. Eppure, oltre l’85% dei cittadini europei è a favore di controlli stretti sui comportamenti delle imprese. Eppure, oltre il 60% dei dirigenti d’impresa che operano nei principali paesi europei è a favore di norme vincolanti su sostenibilità e diligenza, il 55% (77% tra le imprese di media dimensione) ritiene che adottare i principi di sostenibilità aumenti la competitività, non la riduce (come molti dicono, anche in Italia, senza citare un solo dato al riguardo), e il 63% ritiene che sia giusto chiedere alla grandi imprese di pubblicare i loro piani per ridurre le emissioni di gas climalteranti, e anzi pensa che l’Unione europea dovrebbe battersi per fissare analoghi impegni in tutto il mondo.
Anche gli italiani hanno opinioni analoghe su cosa si dovrebbe fare, in linea con i nuovi articoli della Costituzione riformata nel 2022, come proposto dall’ASviS fin dal 2016, che all’articolo 41 dice esplicitamente che l’attività economica non può svolgersi contro la salute e l’ambiente. Peraltro, l’Istat ha chiaramente dimostrato che le imprese manifatturiere che investono in sostenibilità ottengono risultati economici migliori delle altre, a parità di altre condizioni (oltre il 16% di fatturato per le imprese molto impegnate in questo campo, oltre il 5% per quelle con un impegno “medio”), mentre altri studi mostrano che esse hanno posizioni finanziarie più solide. Si capisce, dunque, perché la Banca Centrale Europea abbia criticato le proposte della Commissione, dicendo che a rischio c’è la stabilità finanziaria dell’area dell’euro e che per proteggere quest’ultima le banche continueranno a chiedere alle imprese di esplicitare le loro azioni e strategie in materia di transizione ecologica.
Quindi, perché la politica vuole andare in direzione opposta?
A costo di sembrare «stupidi», come invita a fare papa Leone, non si può non pensare che la battaglia in corso, nel disinteresse dell’opinione pubblica italiana, abbia proprio a che fare con il tipo di capitalismo che vogliamo realizzare nel nostro continente, quindi un elemento “vitale” per il nostro futuro. Con la scusa delle semplificazioni (doverose e possibili, come indicato da molti esperti) si intenda operare una vera e propria deregulation che contraddice i principi scolpiti nel Trattato dell’Unione Europea, riduce le capacità competitive dell’economia europea, può peggiorare la condizione dei lavoratori e rinuncia ad affrontare le cause ultime della povertà e del degrado ambientale.
Purtroppo, come scrive il Papa, «anche i cristiani, in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti». C’è ancora tempo per dimostrare che in questo caso il Papa si sbaglia? Si, poche ore.

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