Dilexi te
Articolo di Avvenire.
Ecco il primo documento magisteriale di papa Prevost: «Dilexi te». La Chiesa «non ha nemici». Nei poveri «la carne di Cristo». «In ogni migrante respinto è Cristo che bussa alle porte». No al mercato che domina. I cristiani denuncino le ingiustizie e non riducano la fede a un fatto privato. È «peccato» restare indifferenti al grido dei poveri.
Leone XIV lo chiarisce fin dai primi paragrafi. L’esortazione apostolica “Dilexi Te” che porta la sua firma e che ha al centro l’«amore verso i poveri», come si legge nel sottotitolo, è un «progetto ricevuto come in eredità» da papa Francesco. Un lavoro che, tiene a precisare il Pontefice, «sono felice di fare mio», anche se con l’aggiunta di «alcune riflessioni», e di «proporlo all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste fra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri». Si apre con un versetto dell’Apocalisse il primo documento magisteriale di Leone XIV. Il versetto che aveva deciso papa Bergoglio: lui voleva un testo «sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri», ripercorre Leone XIV, e immaginava che Cristo si rivolgesse «a ognuno di loro dicendo: hai poca forza, poco potere ma “io ti ho amato”». “Dilexi Te”, appunto.
Un vincolo inseparabile fra fede e poveri
Il documento di 128 pagine – secondo l’edizione italiana pubblicata dalla Libreria editrice vaticana e già da oggi nelle librerie – ripercorre la «bimillenaria storia di attenzione ecclesiale verso i poveri», sottolinea lo stesso papa Leone, e dice che «la cura dei poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo». Dimensione su cui il primo Papa statunitense ritiene «necessario insistere» perché, spiega, la carità è «una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento», perché «esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri» e perché «ogni rinnovamento ecclesiale ha sempre avuto fra le sue priorità l’attenzione preferenziale ai poveri»: da Francesco d’Assisi al Concilio Vaticano II, per citare due “svolte” indicate nei 121 paragrafi.
Il testo porta la data del 4 ottobre, solennità del Poverello, quando il Papa l’ha firmato ed è stato diffuso questa mattina dalla Sala Stampa vaticana. Un documento che arriva nel quinto mese di Leone XIV sul soglio di Pietro, eletto l’8 maggio, e che ricalca ciò che era accaduto all’inizio del pontificato di Francesco quando papa Bergoglio aveva recepito (e integrato) nel 2013 l’enciclica quasi pronta di Benedetto XVI “Lumen fidei”. È stato lo stesso papa Francesco ad aver deciso la “forma” per la sua riflessione sui poveri: non un’enciclica, ma un’Esortazione apostolica. Opzione che Leone XIV ha rispettato.
La Chiesa secondo Leone XIV: non ha nemici da combattere
Si tratta di un documento diviso in cinque capitoli che racconta come papa Prevost abbia a cuore l’unità con i Pontefici che l’hanno preceduto: non solo Francesco (che viene citato a lungo) ma anche Paolo VI, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II (che torna spesso nell’Esortazione apostolica). Ed è un testo da cui emerge la Chiesa che sogna Leone XIV e di cui «oggi il mondo ha bisogno», scrive lui stesso: una Chiesa «madre dei poveri»; una Chiesa «delle Beatitudini» che «fa spazio ai piccoli e cammina povera con i poveri»; una Chiesa che «non conosce nemici da combattere ma solo uomini e donne da amare».
In difesa dei più deboli: la fede non si limita al privato
Ciò che “Dilexi Te” ribadisce è che i poveri non sono una «categoria sociologica», ma la «carne di Cristo». E riconducono all’«essenziale della fede»: il Figlio di Dio che «si è svuotato» e «fatto povero». Infatti il Papa dichiara: «Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione». Da qui il monito: «C’è chi continua a dire: “Il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera dottrina”. Ma, svincolando questo aspetto religioso dalla promozione integrale, aggiungono che solo il governo dovrebbe prendersi cura di loro, oppure che sarebbe meglio lasciarli nella miseria, insegnando loro piuttosto a lavorare». E aggiunge: «Tante volte mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni».
Invece serve piegarsi sui «feriti dell’umanità», i «prediletti del Vangelo». «Occorre ricordare che la religione, specificatamente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato come se i fedeli non dovessero avere a cuore anche i problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini», spiega Leone XIV. E lamenta: «Talvolta si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani la carenza o addirittura l’assenza per il bene comune e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati». Del resto, «la carità non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto». Quindi il pungolo: restare «indifferenti» al grido dei poveri è «un peccato» e allontana «dal cuore stesso di Dio». Poi ricorda: «Chiunque, perfino il nemico, si trovi in difficoltà, merita sempre il nostro soccorso».
Dai migranti alle donne: i volti della povertà
Nell’Esortazione apostolica i poveri hanno più volti e, osserva il Papa, «sono sempre più numerosi». Hanno il volto di chi soffre per la «mancanza di acqua e cibo» o per la «malnutrizione». Hanno il volto delle «famiglie che non arrivano alla fine del mese in Europa». Hanno il volto delle «donne» vittime di «esclusione, maltrattamenti, violenza». Hanno il volto di coloro che fronteggiano la povertà «morale» e «spirituale» o di chi non può studiare mentre «l’educazione non è un favore, ma un dovere» e i «piccoli hanno diritto alla conoscenza come requisito fondamentale per il riconoscimento della dignità umana» soprattutto alla luce della «tradizione cristiana» che «considera il sapere un dono di Dio».
Hanno il volto dei migranti, un’esperienza che «accompagna la storia del popolo di Dio»: per questo «la Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore» e «dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti» ben sapendo «che il suo annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza» e che «in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità».
Hanno il volto dei malati nei quali la comunità ecclesiale identifica «prontamente il Signore crocifisso» e che sono «una parte importante della sua missione. Hanno il volto dei prigionieri che i cristiani sono chiamati ad «assistere», spinti dall’impegno a «liberare gli oppressi» che caratterizza la Chiesa e sfidando le «schiavitù moderne: il traffico di essere umani, il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale, le diverse forme di dipendenza».
Quando il mercato e l’economia uccidono
Il documento ha una sua valenza politica perché «la mancanza di equità è la radice dei mali sociali». Il Papa denuncia «la miseria di tante persone». Punta l’indice contro i «nuovi e drammatici squilibri» o le «crescenti disuguaglianze», mentre «vediamo crescere alcune élite di ricchi che vivono nella bolla di condizioni lussuose». Censura «una visione dell’esistenza imperniata sull’accumulo della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da conseguire anche a scapito degli altri e profittando di ideali sociali e sistemi politico-economico ingiusti che favoriscono i più forti».
Condanna la «falsa» concezione della «meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita» e la «scelta» di chi ritiene «ragionevole organizzare l’economia sacrificando i popoli». Attacca le manipolazioni informative e digitali che fanno apparire «la situazione dei poveri non così grave» o diventare «irrilevanti» fatti simili a quello del piccolo siriano migrante Alan, il «bambino riverso senza vita su una spiaggia del Mediterraneo». Si rammarica anche per «i cristiani» che «si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni o a conclusioni forvianti». Annuncia che «è doveroso continuare a denunciare la “dittatura di un’economia che uccide”» segnata da «ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria». Stigmatizza «criteri pseudoscientifici» secondo cui «la libertà del mercato porterà spontaneamente alla soluzione del problema della povertà» e soprattutto «una pastorale delle cosiddette élite sostenendo che, al posto di perdere tempo con i poveri, è meglio prendersi cura dei ricchi, dei potenti e dei professionisti cosicché, attraverso di loro, si potranno raggiungere soluzioni più efficaci».
Poi Leone XIV pone una serie di domande che intendono scuotere le coscienze. «I meno dotati non sono persone umane? I deboli non hanno la nostra stessa dignità? Quelli che sono nati con meno possibilità valgono meno come esseri umani e devono solo limitarsi a sopravvivere? Dalle risposte che diamo dipende il valore delle nostre società e da essa dipende pure il nostro futuro. O riacquistiamo la nostra dignità o cadiamo come in un pozzo di sporcizia».
A chi ha in mano le sorti delle nazioni il Papa chiede di ascoltare i poveri e di «risolvere le cause strutturali della povertà» superando «quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri»; al «popolo di Dio» di «far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”» perché «la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo» con il Signore e perché le «strutture di peccato» e «d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene». Non manca un richiamo al lavoro: la gente deve avere un «buon lavoro», annota il Pontefice.
I testimoni accanto ai più bisognosi
Tre dei cinque capitoli dell’Esortazione apostolica guardano ai poveri attraverso la Scrittura e la storia della Chiesa. Il Papa tiene a evidenziare che l’opzione preferenziale per i poveri è fondata «teologicamente». «Con uno sguardo misericordioso – scrive – Dio si è rivolto alle sue creature prendendosi cura della loro condizione umana e, quindi, della loro povertà». Viene citato l’Antico Testamento per affermare che «Dio è il rifugio dei poveri» e, attraverso i profeti, «denuncia le iniquità a danno dei più deboli». Cristo è presentato come un povero ed è definito «Messia povero» e il «Messia dei poveri e per i poveri».
Poi il documento passa in rassegna numerosi “testimoni” accanto agli ultimi. Dai padri della Chiesa (soprattutto Giovanni Crisostomo, che chiedeva di riconoscere Cristo nei poveri, e Agostino, il santo di cui il Papa è figlio, secondo cui il povero è «presenza sacramentale del Signore») ai testimoni che hanno abbracciato i bisognosi: san Giovanni di Dio e san Camillo de Lellis in missione fra i malati; Basilio e Benedetto che hanno indicato la cura dei poveri nella vita monastica; gli ordini mendicanti; poi Francesco d’Assisi, la cui vita «è stata una continua spoliazione», e santa Chiara «fedele alla povertà radicale»; san Domenico, maestro di «vita povera»; gli “apostoli” dell’educazione dei dimenticati: Giuseppe Calasanzio, Giovanni Bosco, Antonio Rosmini, ma anche molte congregazioni femminili; i santi dei migranti: Giovanni Battista Scalabrini e madre Francesca Saverio Cabrini, prima santa cittadina americana e patrona dei migranti; Madre Teresa che «trovava nella preghiera» la forza dell’azione o la brasiliana santa Dulce dei poveri, l’«angelo buono di Bahia».
Quindi l’attenzione al magistero degli ultimi 150 anni che, evidenzia papa Leone, «offre una miniera di insegnamenti che riguardano i poveri» a partire dalla Dottrina sociale: Leone XIII con la “Rerum novarum”; Giovanni XXIII con l’appello ai Paesi ricchi nella “Mater et Magistra” a non rimanere indifferenti davanti ai Paesi oppressi da fame e miseria; Paolo VI, la “Populorum progressio” e l’intervento all’Onu per «un mondo più solidale»; Giovanni Paolo II che aveva consolidato «il rapporto preferenziale della Chiesa con i poveri»; Benedetto XVI che con la “Caritas in veritate” aveva proposto una lettura «più marcatamente politica» delle crisi del terzo millennio; e infine le intuizioni di papa Francesco.
Una particolare attenzione è riservata al Concilio Vaticano II che «è stata una tappa fondamentale nel discernimento ecclesiale riguardo ai poveri», scrive Leone XIV; e il Papa cita ampiamente il cardinale arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro, che sosteneva: «Questa è l’ora dei poveri». Infine il rimando alle Conferenze dell’episcopato latino-americano dove i poveri non sono più «oggetti di beneficenza» ma «soggetti» e in cui si sollecita a «educare a vivere nella costante solidarietà».
L’«amore» per i poveri – assicura Leone XIV – è «garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio». E il Papa esorta a riscoprire il valore dell’elemosina che, dice citando Giovanni Crisostomo, è «l’ala della preghiera: se non aggiungi un’ala alla tua preghiera, a malapena potrà volare» e che permette di «toccare la carne sofferente dei poveri».
Il testo inviato dal Papa a tutti i vescovi del mondo con una lettera scritta a mano
Leone XIV ha mandato una copia del testo a tutti i vescovi con una lettera di accompagnamento scritta a mano di suo pugno: «Caro fratello in Cristo, è con grande gioia che ti scrivo, seguendo una pratica iniziata da papa Francesco più di dieci anni fa, che coinvolge l'intero Collegio episcopale nei momenti importanti del magistero papale. Possa “Dilexi te” aiutare la Chiesa a servire i poveri e ad avvicinare i poveri a Cristo».