Calamità naturali e climate change
Articolo di Massimo Cingolani pubblicato da Arcipelago Milano.
Era il maggio 2012, Governo tecnico Monti, dopo il terremoto che colpisce l’Emilia Romagna e parte della Lombardia, viene emanato il DL15 maggio 2012, n. 59: Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile.
Il decreto prevede all’art. 2 la copertura assicurativa su base volontaria contro i rischi di danni derivanti da calamità naturali con l’obiettivo di avviare un regime assicurativo per la protezione dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati.
L’operatività del sistema è rimandato ad un regolamento da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’economia e delle finanze.
Un decreto coraggioso perché segna una svolta nel nostro sistema di welfare soprattutto a livello di principio, escludendo la prosecuzione di un sistema assistenzialista, non più sostenibile , chiedendo al cittadino di farsi parte proattiva, anche con un’assicurazione volontaria supportata da incentivi.
Questo dunque in teoria, ma in pratica? Il Governo aveva tempo fino al 15 agosto 2012 per emanare i regolamenti attuativi che dovevano esplicitare anche le misure individuate per evitare che le compagnie si prendano i rischi migliori, non stipulando polizze nelle aree maggiormente a rischio. Sono passati quasi 15 anni e lo aspettiamo ancora.
Nel 1992 il Presidente del Consiglio Amato dichiarò che lo Stato non aveva la capacità di gestire in modo corretto e con criteri di economicità l’erogazione di indennizzi a valle di gravi calamità naturali e accennò alla possibilità che tale funzione potesse essere svolta dalle compagnie assicurative. Per almeno tre volte (2002, 2004, 2008) in leggi finanziarie si è tentato di inserire l’assicurazione obbligatoria su edifici privati per rischio calamità.
Ma la prima forza politica a parlare di rischi catastrofali e della necessità di assicurarli fu solo il PCI durante la Prima Repubblica. Le strategie di previsione e prevenzione si basano su alcuni capisaldi che sono:
1. la riduzione sistematica del rischio, con azioni e interventi che devono essere attuati prima che il danno si concretizzi in forma di disastro o catastrofe. Si tratta di una razionalizzazione del rapporto tra ambiente e insediamenti antropici ottenuta con il controllo pianificato della sicurezza su tutto il territorio.
2. La preparazione e l’approntamento dell’organizzazione di protezione civile e, in particolare, la predisposizione delle forze, dei mezzi, delle misure organizzative, delle procedure operative.
3. L’elaborazione dei programmi e dei modelli da applicare per la riabilitazione e la riparazione definitiva dei danni che possono essere causati da un evento catastrofale.
All’interno della spesa per l’attività di soccorso e ricostruzione, si possono liberare delle risorse attraverso un sistema misto che affianchi, come avviene in molti paesi colpiti spesso da simili eventi catastrofali, all’intervento statuale l’intermediazione assicurativa, opportunamente incentivata attraverso specifici provvedimenti fiscali.
Nel caso si optasse per un’assicurazione privata obbligatoria con l’estensione della copertura incendio sarebbe fondamentale che la valutazione dei rischi sia lasciata autonomamente alla Compagnie senza interventi “politici” non supportati da valutazioni tecniche. Un altro aspetto sarebbe la creazione di un fondo di garanzia in grado di intervenire in forma integrativa per eventi di particolare gravità.
I recenti eventi climatici hanno evidenziato casi di abusivismo e mancate verifiche, infatti il pubblico controlla poco e male a causa dei suoi conflitti d’interesse e spesso anche perché coinvolto nella corruzione. Una Compagnia di assicurazione, il cui compito è stimare i rischi per costruire il premio, sarebbe invece motivata a chiedere ai controllori che le norme siano rispettate.
Inoltre il modello assicurativo risarcirebbe direttamente i soggetti danneggiati affidando loro le risorse necessarie per la ricostruzione ed evitando che si perdano nelle inefficienze, nei ritardi, negli sprechi della macchina burocratica e nella corruzione ,per non parlare della criminalità organizzata.
Il risarcimento diretto consente ai danneggiati di essere padroni delle proprie scelte. La ricostruzione deve avere un senso per l’individuo, che potrebbe se vuole anche decidere di allontanarsi da un territorio che lo angoscia, per ricostruirsi la vita da un’altra parte, e questa è una grande scelta di libertà individuale ed economica.
Qualsiasi intervento in tema di assicurazione private per calamità naturali ha purtroppo un punto debole spaventoso: il dissesto idrogeologico del suolo e l’abusivismo ad alto rischio. Si è costruito praticamente ovunque anche nelle “zone rosse” come ad esempio quelle individuate nelle “Carte di localizzazione di probabili valanghe”, per non parlare del Vesuvio e dell’Etna.
È necessario pensare ad una riforma strutturale di risposta alla calamità, in questa cornice va inserito il tema dell’assicurazione degli immobili privati. Va costruito un modello di risk partnership tra Stato/ Industria assicurativa/ cittadini contraenti elaborato su una piattaforma precisa di assunzioni di responsabilità.
Qualche esempio? Norme edilizie e sfruttamento del territorio coerenti con una metodologia di assicurazione per eventi naturali, particolare attenzione alla tenuta del comparto assicurativo e di riassicurazione tenuto conto del fatto che quest’ultimo è basato anche su un sistema di ricorso a strumenti di finanza derivata; sgravi fiscali per i cittadini assicurati.
Non a caso i primi a non essere interessati sono le Compagnie di assicurazioni, Confedilizia, gli ordini professionali. Fare delle scelte in questo paese è sempre difficile.
Ci sono esempi di altri paesi simili al nostro?
Si, la copertura assicurativa obbligatoria è abitualmente offerta in partnership tra soggetti pubblici e privati; il settore privato ha competenze di valutazione dei rischi e dei danni, delle reti di distribuzione e di liquidazione, questo è quel che succede per esempio in Francia, Spagna, Svizzera, Turchia, Islanda. In Francia la polizza è obbligatoria dal 1982 e costa 25 euro annui, adesso a causa degli eventi verificatesi in particolare nei territori d’oltremare si sta valutando di portali a 40 euro.
Una delle obiezioni che si fa a questa proposta è che sia una tassa, e allora? qualora fosse, che male c’è? Le tasse non sono una cosa bella, affermazione più che mai bizzarra, ma una cosa necessaria.
Come sosteneva Benjamin Franklin, uno che di tasse se ne intendeva avendo fatto una rivoluzione (americana) per pagarne di meno: “nella vita nulla è inevitabile, tranne la morte e le tasse”, e non ho mai sentito dire che la morte è bellissima.
Un’ultima nota tecnica personale, in Italia l’unica polizza obbligatoria di massa è stata la RCAuto, e per anni ha avuto una tariffa amministrata, cioè una tariffa uguale per tutti. Credo che per il periodo iniziale, qualora diventi obbligatoria la polizza “catastrofali”, si debba usare lo stesso criterio, essendoci in questo paese poca concorrenza e la tendenza all’oligopolio.
Comunque non preoccupatevi, non succederà niente.