Parità di genere nelle retribuzioni e presenza delle donne nei luoghi decisionali
Articolo di Patrizia Toia.
Parità di genere nelle retribuzioni e presenza delle donne nei luoghi decisionali: due direttive europee che segnano un salto decisivo.
In Europa esiste ancora un forte e inaccettabile divario retributivo tra donne e uomini: il gender pay gap è in media del 12%, ma può arrivare fino al 19% in alcuni Paesi.
Le cause sono molte: dalla segregazione professionale agli stereotipi duri a morire.
E badate bene che non si tratta solo delle professioni più semplici o di quelle di cura: il divario riguarda anche i livelli manageriali e le professioni più qualificate, comprese le libere professioni.
Questo dimostra che serviva, e serve, un intervento legislativo strutturale, perché esiste una “sottovalutazione strutturale” del lavoro femminile. Occorre quindi intervenire laddove le insidie e le trappole sono più profonde.
Per questo la Direttiva (UE) 2023/970 sulla trasparenza retributiva rappresenta una grande conquista: introduce il principio della parità di retribuzione non solo per lo stesso lavoro, ma anche per il lavoro “di pari valore”, e impone alle imprese la trasparenza nei criteri di formazione dei salari e nei meccanismi di informazione, sia prima dell’assunzione sia durante il rapporto di lavoro.
Inoltre, faciliterà l’accesso alla giustizia per chi è vittima di discriminazioni.
L’Italia ora la sta recependo e presto sarà in vigore, consentendo peraltro un po’ di tempo alle aziende – a seconda delle dimensioni – per organizzarsi e rispettarla.
Anche la Direttiva (UE) 2022/2381, sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate, è un passo importante: oggi la presenza femminile negli organismi decisionali in Europa è ancora troppo bassa, al 34%, mentre l’Italia, grazie alla legge Golfo-Mosca, si colloca al 44%.
Avere una norma europea che impone a tutti gli Stati di dotarsi di una legge è essenziale, perché c’è un nesso evidente tra la presenza di norme vincolanti e i risultati ottenuti: le norme “soft” basate sulla sola persuasione non hanno funzionato.
I dati lo dimostrano: nei nove Paesi che hanno adottato leggi vincolanti (Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Germania, Belgio, Portogallo, Austria, Grecia) la situazione è accettabile e in miglioramento; negli undici che hanno leggi “soft”; la presenza femminile resta bassa, e nei sette che non hanno alcuna norma i livelli sono bassissimi.
L’ultimo, ed è bene annotarlo, è l’Ungheria, con un modestissimo 10%.
Anche per questo la direttiva europea “Women on Board” è fondamentale e dovrà essere recepita dal nostro governo entro quest’anno, per entrare in vigore nel prossimo, uniformando alcune differenze con la nostra legge nazionale.
Queste norme, insieme a quelle sulla responsabilità sociale e la governance d’impresa, gli ESG e la due diligence, segnano l’avanzare in Europa di una cultura della qualità, della parità e della sostenibilità che entra nel campo dell’economia, dal commercio alla finanza, e nel mondo del lavoro per rafforzare inclusione e parità.
Questo è un grande passo avanti - non solo per le donne, ma per la qualità dell’economia, del lavoro e della società nel suo insieme.
Oggi ho parlato di tutto questo con il Collegio delle Avvocate e delle Commercialiste (un grazie alle Presidenti e alle Responsabili CPO) in un interessante confronto moderato da Rita Querzè, con accademici ed esperti di diritto societario, governance e sostenibilità, e con donne già ai vertici di imprese e banche, come Claudia Cattani, Presidente di BNP Paribas.
Come sempre, le battaglie delle donne riguardano tutta la comunità e fanno progredire tutti.
Grazie alla Presidente del Collegio Maddalena Arlenghi, Fioranna Negri, Ivana de Michele, Valentina Masi e Costanza Gargano.
