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  • Mauro Magatti

L'Europa e una speranza da riaccendere

Articolo di Mauro Magatti pubblicato da Avvenire.

Il tema della progressiva irrilevanza dell’Unione Europea circola ormai esplicitamente nelle cancellerie di tutto il mondo. Pur rimanendo uno dei principali blocchi economici e culturali del pianeta, l’Europa rischia di scivolare ai margini della storia. La popolazione cala, la quota sul Pil mondiale continua a diminuire, le innovazioni decisive si producono altrove, la voce politica dell’Unione fatica a farsi sentire.

Su tutti i temi in agenda – dall’Ucraina alla transizione verde, dalla regolazione dell’Intelligenza artificiale ai nuovi equilibri geopolitici – l’Europa stenta a farsi sentire. Non si tratta semplicemente di un ritardo economico o di una difficoltà istituzionale. C’è una stanchezza di senso, una sorta di anemia spirituale.
L’ultimo grande atto di visione europea risale al Trattato di Maastricht del 1992. Un’altra era storica. Crollato il Muro di Berlino, la moneta unica e il mercato interno sembravano gli strumenti per consolidare pace e prosperità. Ma, da allora, l’Unione ha solo inseguito. Prima la crisi finanziaria del 2008, che l’ha colta impreparata, con risposte tardive e divise; poi la pandemia, che l’ha costretta a una coraggiosa ma forzata reinvenzione con il Next Generation EU; quindi, la sfida digitale e la transizione ecologica, affrontate con atti legislativi importanti (l’AI Act e il Green Deal) con in forte taglio regolativo; infine la guerra in Ucraina, con tutte le incertezze e le divisioni che ne sono seguite. In tutti questi passaggi, l’Europa è stata resiliente. Ma ha stentato a delineare una propria visione. Ha reagito, più che agito. Ha gestito emergenze, ma non ha prodotto un nuovo orizzonte.
Il problema è che, dopo aver costruito un poderoso edificio normativo ed economico, l’Unione non ha mai veramente affrontato la questione di ciò che la tiene insieme. Dietro la tecnocrazia di Bruxelles, dietro le politiche di bilancio e i compromessi diplomatici, manca una risposta condivisa alla domanda: che cosa ci sta a fare l’Europa nel mondo di oggi? La pace e i valori europei non sono eredità da custodire, ma promesse da rinnovare. L’Europa non può limitarsi a essere un’area regolatoria o un’istituzione economica: deve tornare a essere una visione del mondo. Qual è l’idea di essere umano che vogliamo proporre in un’epoca di Intelligenza artificiale e biotecnologie? Che tipo di democrazia vogliamo difendere di fronte all’avanzata delle autocrazie digitali e dei populismi algoritmici? Che economia vogliamo praticare, in un mondo che rischia di sacrificare tutto – ambiente, libertà, democrazia – sull’altare dell’efficienza e della crescita a ogni costo?
I casi degli altri grandi attori globali mostrano quanto sia illusorio pensare che un sistema politico possa vivere senza un fondamento simbolico condiviso. Gli Stati Uniti di Trump, pur attraversati da profonde divisioni, stanno cercando di ridefinire il loro ruolo nel mondo. La Cina ha un suo “spirito” di civiltà millenaria, reinterpretato in chiave nazional-comunista: un orizzonte collettivo, autoritario ma mobilitante, che orienta scienza, economia e cultura verso un’idea di destino comune. Persino la Russia, nel suo isolamento, si racconta come erede di una missione spirituale contro l’Occidente materialista. L’Europa, invece, sembra non credere più in sé stessa. Ha perso la capacità di dire perché esiste. Ha sostituito la tensione ideale con la prudenza amministrativa, l’utopia con la governance, la politica con la procedura. Ma nessuna comunità politica può vivere solo di regole: ha bisogno di una narrazione fondatrice, di un’idea di bene comune capace di parlare al cuore e alla mente delle persone. Come può allora rinascere questo spirito europeo?
Non si tratta di tornare al passato – né ai nazionalismi che l’Europa ha superato, né ai tecnicismi che la immobilizzano. Ma di riscoprire la radice umanistica che ha fatto dell’Europa il laboratorio della libertà moderna. La tradizione europea non è solo quella delle guerre e dei confini, ma anche quella della dignità dell’uomo, della libertà di pensiero, della separazione dei poteri, della scienza come ricerca del vero, della politica come costruzione di un mondo comune. Del difficile ma necessario equilibrio tra l’interesse individuale e la solidarietà sociale. Rigenerare lo spirito europeo significa riconoscere che l’Europa è una comunità di destino che non impone, ma propone: un modello di sviluppo sostenibile, una democrazia capace di partecipazione, una cultura della reciprocità e della cura, una libertà che si accorda con la responsabilità. La vera crisi europea non è né economica né militare, ma spirituale. L’Europa non è un meccanismo di regolazione burocratica o di distribuzione di fondi, ma una promessa condivisa: quella di un’umanità capace di libertà, giustizia e solidarietà. Solo se saprà riaccendere questo spirito, l’Europa potrà tornare a contare nel mondo. Non per la sua potenza militare o per la sua forza economica, ma per la sua capacità di dare senso all’epoca che viviamo. Come ogni grande costruzione politica, l’Unione Europea ha bisogno di un’anima.

 

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