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  • Pierpaolo Baretta

L’anno che verrà

Articolo di Pierpaolo Baretta pubblicato da Riformismo e Solidarietà.

Alla fine di ogni anno ci si chiede come sarà il prossimo. E succede, sempre più spesso, che nella gara tra astrologi ed economisti i secondi non siano più affidabili dei primi…
Ma c’è una spiegazione.

La erraticità dei mercati globali - tutt’altro che “razionale” - tende ad aumentare in maniera esponenziale a causa dell’incertezza delle prospettive politiche e sociali globali, segnate da guerre (sono più di 60 i conflitti nel mondo); rivoluzione tecnologica (IA, automazione applicata); crisi climatica (siccità e inondazioni che si alternano, quando non si sommano); fame e malattie. Il tutto in assenza di una vera governance; con l’Onu, l’Unione Europea e le altre istituzioni internazionali sempre più deboli. “Si tratta – scrive Sergio Fabbrini, nel Sole24 ore di domenica, di un disordine internazionale che si sta istituzionalizzando, trasformandosi in un disequilibrio quasi permanente”.
Il 2025 si presenta, dunque, segnato da tutte queste variabili i cui sviluppi sono, evidentemente, difficilmente prevedibili, tanto più se consideriamo che i loro effetti sono proiettati nel lungo periodo. Pertanto, più che previsioni, servono scelte! Coraggiose e realiste al tempo stesso. Proviamo a ragionare su tre possibili opzioni che possono provocare un cambio di scenario.
La prima è tutta politica. La guerra russo ucraina ha, ormai, nella sua drammaticità, un che di anacronistico, inutilmente ripetitivo… senza sbocco. Forse Putin ha intuito proprio questo proponendo, nei giorni scorsi, un negoziato ora che l’Ucraina è debole e, sostanzialmente, sola. Al tempo stesso il fronte di Gaza, ormai totalmente fuori controllo, non è nemmeno più guerra, come ha detto Papa Francesco riferendosi ai bombardamenti sui bambini.
Al mondo servirebbe la pace, ma, perlomeno, si ottenga una tregua. A tal fine ciò che serve è che le grandi potenze (l’Europa colga questa opportunità!) avviino una esplicita, pubblica azione diplomatica che pressi i contendenti per un cessate il fuoco garantito da una lunga tregua; contemporaneamente venga convocato un tavolo che inizi a discutere le condizioni di un inevitabile compromesso.
La seconda è economica. Lo squilibrio globale nella distribuzione della ricchezza aumenta le disuguaglianze; ma, la interdipendenza erode, nelle fondamenta, anche la stabilità dei paesi ricchi (Germania docet). Va recuperato un equilibrio possibile solo attraverso condizioni più favorevoli nella gestione del debito globale. I paesi ricchi abbonino in parte o allunghino la restituzione del debito dei paesi poveri. Una straordinaria occasione per l’Onu e la banca mondiale per rifarsi una reputazione.
La terza riguarda la transizione ecologica. Il dibattito sta arretrando. La comprensibile preoccupazione per le conseguenze economici sociali dell’ecologia (posti di lavoro persi, vantaggi competitivi ridotti) sta offuscando la urgente necessità di intervenire a tutela del creato. Bisogna, anche qui, trovare un punto di incontro, una condivisa gradualità, ma senza cambiare direzione di marcia. Proviamo ad invertire la tendenza legificando, a livello internazionale incentivi per ridurre lo spreco alimentare, energetico, distributivo.
Una tregua; meno debito; meno spreco: il paradosso di queste proposte è che sembrano, al tempo stesso, utopiche e minimaliste, di fronte al complesso dei problemi che ci sovrastano; invece rappresentano quel cambio di passo, possibile e praticabile, di cui si sente davvero il bisogno.
Auguriamoci che ciò avvenga. Buon anno a tutti.

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