Fine Vita, Dibattito a Milano
Articolo pubblicato da News Food.
Dopo i saluti del senatore senatore Franco Mirabelli (vice presidente dei Senatori Pd), Alessandro Capelli (segretario Pd Milano Metropolitana) e Paolo Festa (consigliere Delegato della Città Metropolitana di Milano), il dibatto, organizzato a Milano il 9 novembre dal Pd milanese e dall’Associazione Democratici di Milano e moderato da Arianna Censi (assessora alla mobilità del Comune di Milano), è stato introdotto dal senatore Alfredo Bazoli, vice presidente vicario del gruppo Pd al Senato e primo firmatario del disegno di legge Ac 104 sul fine vita.
All’evento ha partecipato Assoedilizia Informa.
Sull’articolo 580 del Codice penale, ha detto Bazoli, la Corte costituzionale ha detto che ha senso di esistere come cintura di sicurezza nei confronti delle persone più deboli, che rischiano di essere indotte a prendere decisioni sbagliate. Ma in altre condizioni la norma non è coerente con i principi costituzionali.
“In questo disegno di legge - ha argomentato Bazoli - ricalcando il dettato della Corte costituzionale, abbiamo cercato di limitare il più possibile il rischio del prevalere dell’uno o dell’altro principio (cioè quello del diritto alla vita, in cui decide comunque lo Stato, e quello del diritto assoluto all’autodeterminazione) e del resto, grazie alla sentenza della Corte costituzionale, il suicidio assistito è possibile e chi interviene in aiuto non è punibile".
Manca però il quadro normativo”. Si deve quindi fare breccia nel muro delle ostilità e dell’ostruzionismo.
IL Ddl, comunque, detta una serie di presupposti e condizioni: la maggiore età, la capacità di intendere e volere, sia stata coinvolta in un percorso di cure palliative, sia affetta da una patologia irreversibile
Il primo intervento è stato quello di Marilisa D’Amico (ordinario di diritto costituzionale e prorettore con delega a legalità, trasparenza e parità dei diritti alla Statale di Milano), che è intervenuta da remoto: “Avevo visto il Ddl già la scorsa legislatura e mi sono convinta che sia necessario che diventi legge, né capisco certe obiezioni. Queste tematiche, non affrontate per tanto tempo, solo dopo i casi emblematici (Englaro, Welby) hanno chiesto risposte alla politica ed è così arrivata la legge 219/2017, grazie anche al sostegno e al confronto con Emilia De Biasi”. La dignità delle persone autonome, dunque, in collegamento con il medico e il confronto con i familiari che non può comunque prevalere con la decisione libera.
La Corte ha così enucleato le 4 condizioni: due oggettive (irreversibilità della malattia ed essere sottoposti a sostegno vitale che non può essere sospeso) e due soggettive (capacità di intendere e volere e poter giudicare insopportabile la propria condizione psico-fisica). E con la sentenza 242/2019 ha ribadito le quattro condizioni ma inserendo alcune condizioni procedimentali: il percorso deve svolgersi tutto nel Ssn, occorre un comitato etico e deve esserci la possibilità di obiezione di coscienza.
Questo Ddl rispetta quindi tutte le indicazioni della Corte costituzionale, all’interno della cornice della legge 219/2017.
Il diritto, come ha detto Bazoli, c’è già ma il diritto senza certezza su tempi e assistenza resta sulla carta, tranne che in certe Regioni. Questo aspetto procedurale, quindi, è assolutamente fondamentale. L’altro aspetto importante è la sostituzione del comitato etico con quello “per la valutazione clinica” con componenti multidisciplinare.
L’Iter della legge regionale - ha concluso D’Amico - è all’interno di un percorso in cui il legislatore nazionale non interviene ma nel momento in cui intervenisse per le Regioni il compito sarebbe molto più semplice.
Alberto Giannini (primario di rianimazione pediatrica all’ospedale di Brescia e presidente del comitato etico della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva) ha ricordato che abbiamo un buon quadro normativo di base con le leggi 38/2010 e 219/2017. Disposizioni, ha detto Giannini, in gran parte ignorate e disapplicate. Quindi la qualità delle cure è spesso inadeguata e offerta in modo disomogeneo sul territorio nazionale: “E questo è motivo di scandalo – ha detto Giannini -, non si può parlare di morte assistita se non ci sono cure adeguate alle persone”. E manca la formazione dei medici sul concetto della morte soprattutto su quello del limite: le aspettative sono spesso irrealistiche ma il limite c’è e deve emergere. “E non è vero – ha spiegato Giannini – che il limite in medicina non esista. Alcune situazioni in cui le persone chiedono di morire sono frutto del nostro fallimento e dell’incapacità di concepire il limite. Il non inizio o la sospensione di metodi di cura non proporzionati è una scelta clinicamente ed eticamente corretta”.
La parola è poi passata al professor Massimo Reichlin (Università Vita-Salute San Raffaele), che ha riassunto il dibatto filosofico internazionale, che nasce dal cambio epocale della medicina e della possibilità di prolungamento della vita. Sospendere trattamenti irragionevoli e sproporzionati è addirittura doveroso, ha detto Reichlin, ma occorre una cultura in questo senso, accanto al quadro normativo con la legge 219/2017. Della sentenza 242/2019 va ricordato un punto: la Corte esamina l’interpretazione del Tribunale di Milano che boccia l’idea che esista un “diritto di morire” e afferma non solo che non si deve togliere totalmente il presidio a tutela della persona e che non esiste un diritto di morire bensì di interrompere i trattamenti. L’idea fondamentale è questa: certo è giusto fare una legge che rispetti le indicazioni della Consulta ma sapendo che allargare le maglie è sempre pericoloso ed è più importante cambiare la cultura che rende inapplicate le norme già esistenti come la legge 219/2017. “Occorre un cambio di mentalità” ha concluso Reichlin.
Sono seguiti poi gli interventi dei numerosi politici presenti al convegno: Chiara Braga (capogruppo PD alla Camera dei Deputati), Carlo Borghetti (consigliere Regionale della Lombardia), che ha illustrato la proposta di legge regionale di iniziativa popolare sul tema del fine vita, destinata però a non avere esito per l’opposizione della maggioranza: “Già dieci richieste in Lombardia, però – ha detto Borghetti – sono state avanzate dopo la sentenza 242/2019 e in tre casi le persone hanno potuto accedere alla procedura. Ma in assenza di un accompagnamento regolamentato”.
Sono poi intervenuti Carlo Porcari (direzione regionale Pd Lombardia), Valerio Pedroni (consigliere Comunale a Milano) e Alessandro Maggioni (confcooperative). Le conclusioni sono state affidate a Silvia Roggiani (deputata e segretaria PD della Lombardia).