È morto Giorgio Armani, il re della moda
Articolo di Repubblica.
È morto a 91 anni Giorgio Armani. A dare l'annuncio è l'azienda in una nota. "Con infinito cordoglio, il gruppo Armani annuncia la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore: Giorgio Armani - si legge - Il Signor Armani, come è sempre stato chiamato con rispetto e ammirazione da dipendenti e collaboratori, si è spento serenamente, circondato dai suoi cari. Infaticabile, ha lavorato fino agli ultimi giorni, dedicandosi all'azienda, alle collezioni, ai diversi e sempre nuovi progetti in essere e in divenire".
"Negli anni, Giorgio Armani ha creato una visione che dalla moda si è estesa a ogni aspetto del vivere, anticipando i tempi con straordinaria lucidità e concretezza. Lo ha guidato un'inesauribile curiosità, l'attenzione per il presente e le persone. In questo percorso ha creato un dialogo aperto con il pubblico, diventando una figura amata e rispettata per la capacità di comunicare con tutti. Sempre attento alle esigenze della comunità, si è impegnato su molti fronti, soprattutto verso la sua amata Milano”.
“La Giorgio Armani è una azienda con cinquant'anni di storia, cresciuta con emozione e con pazienza. Giorgio Armani ha sempre fatto dell'indipendenza, di pensiero e azione, il proprio segno distintivo. L'azienda è il riflesso, oggi e sempre, di questo sentire. La famiglia e i dipendenti porteranno avanti il Gruppo nel rispetto e nella continuità di questi valori. In questa azienda ci siamo sempre sentiti parte di una famiglia. Oggi, con profonda commozione, sentiamo il vuoto che lascia chi questa famiglia l'ha fondata e fatta crescere con visione, passione e dedizione. Ma è proprio nel suo spirito che insieme, noi dipendenti e i familiari che sempre hanno lavorato al fianco del signor Armani, ci impegniamo a proteggere ciò che ha costruito e a portare avanti la sua azienda nella sua memoria, con rispetto, responsabilità e amore". Firmato: i dipendenti e la sua famiglia.
La camera ardente dello stilista sarà allestita a partire da sabato 6 settembre e sarà visitabile fino a domenica 7 settembre, dalle 9 alle 18, a Milano, in via Bergognone 59, presso l'Armani/Teatro. Per espressa volontà di Giorgio Armani i funerali, lunedì 8 settembre, si svolgeranno in forma privata.
L'ultimo messaggio di Giorgio Armani è affidato ai social. Sulla pagina Instagram compare una foto con lo sfondo nero e la scritta: “Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e la realtà”. E’ da lì che tutto comincia”. E la firma Giorgio Armani. Sotto la foto, l'annuncio della morte da parte dell'Armani Group.
Lunedì, giorno dei funerali di Giorgio Armani, sarà lutto cittadino a Milano. Lo ha deciso il sindaco, Giuseppe Sala, per il quale lo stilista "è stato e resterà per sempre uno dei massimi rappresentanti della moda italiana e milanese nel mondo. Armani era un uomo pieno di talento e di interessi, capace di portare nelle sue creazioni lo stile sobrio ed elegante della sua personalità, misurato, mai eccessivo - ricorda Sala in una nota - A Milano mancheranno il suo sguardo creativo, la sua partecipazione attiva e il suo sostegno alla vita della nostra città”.
Articolo di D-Repubblica.
Si è spento il 4 settembre, a 91 anni, Giorgio Armani. Era a casa in convalescenza da mesi dopo un ricovero ospedaliero, tenuto segreto sino all’ultimo. Se n’è andato come avrebbe sempre voluto, conoscendolo: lavorando. Pur non potendo partecipare alle sfilate maschili e a quella di haute couture, aveva infatti seguito le prove sino all’ultimo via Facetime, controllando i look e redarguendo i suoi collaboratori per non aver fatto sedere gli invitati per tempo, ritardando l’inizio dello show. E sis tava occupando in questi giorni anche della sfilata, in programma all’Accademia di Brera il prossimo 28 settembre, con cui avrebbe celebrato i 50 anni di carriera. Lui era fatto così, infaticabile, inarrestabile.
Re Giorgio. Leggenda assoluta della moda, mito universalmente dello stile contemporaneo, liberatore delle donne, inventore di stili, mode e soprattutto modi di essere. Se proprio si deve fare un paragone, l'unico altro creativo ad aver tanto cambiato il costume è stata Coco Chanel. Quando si dice che l'opera di Armani è unica, è perché lo è. Nessuno come lui ha capito il proprio tempo, trasformandolo in abiti
Ha sempre detto quel che pensava, Giorgio Armani. Per lui veniva prima di tutto chi indossa i suoi vestiti, e solo poi la moda, le tendenze, le manie del momento. Ed è sempre stato così: sarà che ha fondato la sua azienda nel 1975, a 41 anni – un’età in cui di solito si hanno già le idee chiare -, ma è rimasto fedele al suo credo fino alla fine. Come quando, nel 2020 s'è scagliato contro gli stilisti che, forzando le donne a vestirsi secondo i trend senza badare a cosa sia giusto per loro, “stuprano” le loro clienti. Quando lo disse, successe il finimondo. Ma poi, tutti dovettero ammettere che sì, era vero. Quando Giorgio Armani parlava, lo faceva a ragion veduta.
Destino insolito, quello dell'aspirante medico nato a Piacenza l'11 luglio del 1934. Con i genitori nel '49 si trasferisce a Milano, nel '53 s'iscrive alla facoltà di medicina, ma dopo 3 anni arriva la chiamata alla leva. Tornato a casa, decide di non riprendere gli studi, e finisce per trovare lavoro in Rinascente, il grande magazzino milanese per eccellenza. Fa il vetrinista e il commesso, e lì sul campo impara come va fatta la moda, quella vera. Gli riesce talmente bene che nel 1965 Nino Cerruti lo assume e affida a lui, senza alcuna esperienza tecnica, la sua collezione. Il suo amico, compagno e partner finanziario Sergio Galeotti lo convince ad aprire uno studio di consulenza: le consulenze sono un mondo ben remunerato, ma popolato di fantasmi anonimi. La prima linea in cui compare il suo nome è quella creata per Sicons, azienda pellettiera. Lui e Galeotti capiscono che i tempi sono maturi per una collezione Giorgio Armani: il 24 luglio 1975 nasce il marchio con sede in corso Venezia. Due stanze, quattro scrivanie. Poche settimane dopo debutta in passerella con la primavera/estate 1976, al Plaza Hotel di Milano. Un trionfo per il marchio e pure per la città, che diventa il fulcro del p-à-p italiano.
Leggenda vuole che poco prima della sfilata decida di inserire dei capi a pois. È troppo tardi per produrli e allora, pennarello alla mano, li disegna lui stesso sul tessuto. «L'intuizione è tutto», dirà anni dopo ricordando quei momenti. «È la capacità di cogliere un sentimento, un'impressione tra le mille che s'affollano nel quotidiano, stabilendo una diversa relazione causa – effetto. Non c'è alcun percorso che non possa essere cambiato, perché la moda è attualità e comunicazione. Ma non per seguire le manie del momento, quanto per esprimere meglio i miei concetti». E fa bene, per l'appunto. La sua moda molto più moderna e rifinita è la formula ideale per quei tempi alla ricerca di una nuova identità: le donne sono più forti e potenti, gli uomini sempre meno “inscatolati”. Con Armani i confini estetici tra generi si confondono, senza però mai cadere nella pantomima.
Nel 1980 lancia il simbolo della sua rivoluzione, quella con cui sfonda: la giacca destrutturata. Prende le classiche costruzioni sartoriali e le svuota, le rende morbide, avvolgenti, comode senza perdere la silhouette. È esattamente quello che di cui le donne hanno bisogno, solo che ancora non lo sapevano. Un successo talmente planetario che nel 1982 Time gli dedica una copertina. Prima di lui era successo solo a Christian Dior. Anni dopo giudicherà quella cover troppo prematura. «Al momento ne rimasi sconcertato, mi sembrava impossibile, un'esagerazione, pure un po' imbarazzante: avevo ancora troppe cose da dire, onestamente l'avrei meritata qualche anno dopo». Il suo punto di vista è comprensibile, ma pensando a quello che è stato capace di fare, non era né prematura né eccessiva. Perché l'impero di Giorgio Armani si ramifica, cresce fino ad attirare anche i più giovani, diventando un riferimento del loro linguaggio.
Nel 1981 alla prima linea s'affianca Emporio Armani, quella pensata per i giovani: i jeans, le felpe e gli accessori con il logo dell'aquilotto diventano uno degli status symbol della nuova generazione, con il negozio in via Durini vera e propria meta di “pellegrinaggio” degli appassionati. E poi c'è il jeans, e più di recente la linea sportiva EA7, adorata dai più giovani, con cui veste anche la squadra italiana alle Olimpiadi (per non parlare dell'Olympia, la squadra di basket che acquista nel 2008). Nel 1991 disegna pure le divise Alitalia, rendendo la compagnia di bandiera tra le più eleganti del mondo. Nel 2005 debutta a Parigi con la haute couture: è emozionato, tanto, ma la sua Armani Privé diventa subito il riferimento delle star sul red carpet e delle poche, fortunate donne che comprano l’alta moda.
Armani non ha cambiato solo la moda, ma il modo di comunicarla: inventa con la sorella Rosanna l'EA Magazine, la prima rivista di un brand con contenuti editoriali; è il primo marchio di lusso a usare le affissioni in giro per le città, come il muro in via Broletto, a Brera, che occupa dal 1984. Quando lo fa gli danno del pazzo, perché all'epoca a investire in affissioni erano i marchi di elettrodomestici e (talvolta) i film: sono quasi cinquant’anni che è ancora lì, ed è diventata un simbolo della città. E poi c'è l'hangar Emporio Armani di Linate, con l'enorme scritta che dal 1996 saluta chi atterra e parte dall'aeroporto, e dove nel settembre 2018 il designer sfila con le linee Emporio uomo e donna: aeroporto quasi bloccato, voli deviati, esibizione a sorpresa di Robbie Williams, migliaia di invitati sugli spalti a ridosso della pista.
Ancora, c’è la linea casa, che nel 2010 si evolve fino a diventare una catena di hotel di lusso, gli Armani Hotel, 5 stelle dal lusso non esibito, che a loro volta hanno aperto la via ai primi condomini, ovviamente sempre di lusso, firmati Armani. D'altronde gli spazi per lo stilista sono sempre stati fondamentali: alla sede in via Borgonuovo aggiunge nel 2000 la sede in via Bergognone, negli ex-spazi Nestlé, con annesso il Teatro progettato da Tadao Ando. Di fronte, nel 2015, inaugura il Silos, spazio dedicato a mostre di fotografia, moda e design. L’ultima mostra in corso è quella dedicata ai vent’anni di Armani Privé, inaugurata lo scorso maggio e curata dallo stesso designer, che ha passato tutta la notte prima dell’inaugurazione a sistemarla.
Ancora, c'è il rapporto con il cinema, che ha spinto ancora di più la sua visione: inizia nel 1980 con American Gigolò, e non si ferma più. Gli Intoccabili, the Wolf of Wall Street, The social network. Nel 1992 veste Jodie Foster agli Oscar, quando l'attrice viene premiata per il ruolo ne Il silenzio degli innocenti: le prime avvisaglie di come il red carpet si trasformerà di lì a poco in una passerella d'alta moda. Ma, al di là delle star che veste, è Armani stesso un divo: spesso viene fermato dai fan, a cui non pare vero di vederlo di prima mattina, nella vetrina della sua boutique in via Sant’Andrea, intento a sistemare i manichini. Lui non si nega mai a una foto, a un autografo, a un saluto.
Il lavoro per lui è tutto, non ha difficoltà ad ammettere d'averle sacrificato la sua vita personale. Ma, aggiunge, «Provare rimpianti è un sentimento inutile, che fa male. Riflettere suoi comportamenti passati aiuta però a crescere, e io penso ora di riservare più tempo alla mia vita privata, ai miei affetti: i miei familiari, gli amici, quelli che mi interessano, ma rifarei tutto».
Nel 1985 viene a mancare Galeotti: muore di Aids in un ospedale fuori Parigi. Un colpo durissimo per lo stilista che oltre al dolore immenso, si trova a gestire il momento di massima espansione del brand. Ma ci riesce, eccome. Perché non è da solo: ci sono la sorella Rosanna, suo figlio Andrea Camerana, le nipoti Silvana, che cura il womenswear, Roberta, che cura le celebrities. E c’è Leo Dell’Orco, responsabile del menswear e tra i primi dipendenti del marchio. È suo l’anello con diamante che lo stilista indossa sempre. Sono loro gli eredi designati dallo stilista quando le voci sul futuro dell’azienda si fanno sempre più forti e contrastanti: proprio per metterle a tacere una volta per tutte, il designer crea una Fondazione gestita dalla famiglia, a cui spetta il compito di decidere destino dell’universo Armani ora che il suo centro non c’è più. Negli anni sono molte le smentite che lo stilista fa riguardo la sua successione: si parla di una vendita a L’Oreal, di un fondo, e poi di una fusione con Ferrari, per la creazione di un vero polo del lusso italiano. Ma Armani è sempre secco nello smentire: il brand rimane alla famiglia. Anche qui la sua autorevolezza non è mai in discussione: il suo carisma, la sua esperienza, la posizione che occupa nell’immaginario del pubblico gli permettono di essere sempre ascoltato. Esemplare quello che accade con la pandemia, nel 2020: il 23 febbraio, quando il Covid inizia a fare davvero paura, ma non si è ancora capito fino a che punto, è il primo stilista a rinunciare alla passerella dal vivo - è in corso proprio la fashion week milanese - per sfilare a porte chiuse e mettere così in sicurezza ospiti e impiegati. Ancora: è il primo con una lettera aperta a invocare un rallentamento dei ritmi frenetici della moda, e a dare l’esempio donando milioni alle associazioni di beneficenza che si occupano di supportare la popolazione in difficoltà e ad avviare nei suoi stabilimenti una produzione di camici ospedalieri monouso, diventati praticamente impossibili da reperire durante i picchi del contagio. Lui c’è sempre, in prima fila, e questo il pubblico se lo ricorderà sempre. Non è un tipo da smancerie, i suoi gesti sono sempre sinceri e sentiti.
Lo dimostra ancora una volta nel febbraio 2022, a pochi giorni dall’inizio della guerra in Ucraina, quando sfila senza musica in segno di rispetto per le vittime del conflitto, e si commuove fino alle lacrime davanti ai giornalisti pensando ai bambini sotto le bombe. La sua chiarezza d’intenti, lo rende sempre più amato: la gente capisce come lui creda in quello che dice e in quello che fa. Lo dimostra l’entusiasmo quando, nel maggio 2023, l’Università Cattolica della sua Piacenza gli attribuisce la laurea honoris causa in global business management: la folla di concittadini e universitari accorsi ad applaudirlo blocca mezza città.
Con lui è sempre così: quando nel settembre dello stesso anno sbarca a Venezia con una sfilata speciale della sua Armani Privè, passa le giornate affacciato al ponte del suo yacht e a terra a salutare, abbracciare e lasciarsi fotografare con i suoi tantissimi ammiratori. Ma non è un sentimento limitato solo al grande pubblico: gli addetti ai lavori lo stimano, lo lodano, lo ammirano. Anche se i suoi giudizi nei loro confronti spesso non sono teneri, nessuno mette in dubbio la sua grandezza e la sua etica.
I novant’anni li celebra, a luglio, con una festa assieme a tutti i suoi dipendenti. Per chiunque i novanta sarebbero un traguardo finale. Per lui, no. La haute couture Armani Privé presentata a Parigi pochi giorni prima del suo compleanno è considerata la più bella sfilata della stagione; e a ottobre, instancabile, presenta la Giorgio Armani donna p/e 2025 non a Milano, come di consueto, ma a New York. E poi a gennaio c’è stata l’alta moda, nel nuovo palazzo affacciato su rue Francois 1er, e poi la donna a febbraio, e l’uomo a giugno, dove , come si diceva, per la prima volta è mancato. In realtà, aveva già detto nei mesi scorsi che forse, a 92 anni, avrebbe fatto un passo indietro, per riposarsi un po’. In realtà, ha continuato a lavorare fino alla fine.
Articolo della Stampa.
È morto a 91 anni Giorgio Armani. A dare l'annuncio è l'azienda in una nota. «Con infinito cordoglio, il gruppo Armani annuncia la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore: Giorgio Armani. Il Signor Armani, come è sempre stato chiamato con rispetto e ammirazione da dipendenti e collaboratori, si è spento serenamente, circondato dai suoi cari. Infaticabile, ha lavorato fino agli ultimi giorni, dedicandosi all'azienda, alle collezioni, ai diversi e sempre nuovi progetti in essere e in divenire». La camera ardente sarà allestita a partire da sabato 6 settembre e sarà visitabile fino a domenica 7 settembre, dalle 9 alle 18, a Milano, in via Bergognone 59, presso l'Armani/Teatro. Per espressa volontà di Giorgio Armani i funerali si svolgeranno in forma privata.
Milano, 24 luglio 1975, corso Venezia, un piccolo ufficio, due locali e due uomini che stavano per prendersi il mondo della moda: Giorgio Armani e il suo socio e compagno Sergio Galeotti. Fondano l’azienda, è l’alba del prêt-à-porter italiano. Con loro solo una segretaria e un mazzo di vestiti tutti uguali ma di colori diversi per la prima sfilata che incanta la stampa americana, 50 anni fa, un anniversario tondo, preciso come le cose che piacevano al Maestro, l’ultimo appuntamento con una vita che è stata piena di successi ma anche di quella malinconia che si intravedeva nei suoi occhi di ghiaccio.
Classe 1934, nato l’11 luglio a Piacenza l'infanzia vissuta tra i bombardamenti, le difficoltà del dopoguerra. Tanti ricordi bui che nessun glamour mai è riuscito a cancellare. Come quando si buttò in un fosso, sopra la sua sorellina, Rosanna, per proteggerla dagli spari di una mitragliatrice. “Ero ragazzino. Lei era una bambina. È un episodio che mi ha sconcertato perché fu mia responsabilità. In famiglia, mi avevano detto più volte di non prendere la strada che portava alla stazione perché era un obiettivo degli aerei”. “Vivevamo al quinto piano di un grande silos. Di notte la mamma ci svegliava alle tre e ci portava giù in cantina, che non era un vero rifugio, sarebbe bastato un soffio e la casa sarebbe crollata”.
Un legame fortissimo con mamma Maria, severa, intransigente, accudente, sempre presente nei ricordi, nella sua vita. I suoi due mega Yacht si chiamano “Mariù” e “Main”, "il vezzeggiativo di sua madre quando era piccola. " Ricordare il nome di mia madre è come non volermi mai distaccare da quel mondo che ho amato e che è sempre nel mio cuore".
Sentimenti forti condivisi con i fratelli Rosanna che oggi lo piange e Silvano che se ne è andato troppo presto. “Gli volevo bene”, ha confidato in un’intervista. “Il carattere, i valori in cui credo, il mio bisogno di privacy nasce in quegli anni. Insieme con lui, attraverso un codice muto, regolato da un forte senso della giustizia, dell'onestà. Se un ragazzino tradiva la nostra fiducia veniva scartato. Ancora oggi sono così. La sincerità è basilare nei rapporti con gli altri”. Poi i nipoti, Silvana e Roberta Armani, foglie del fratello e Andrea Camerana, figlio di Rosanna. A loro l’eredità reale e morale.
La madre, i fratelli, poi i nipoti, il compagno Leo Dell’Orco, l’indimenticato Sergio Galeotti, sono stati le sue fondamenta. Insieme all’azienda, perché è impossibile distinguere i due piani della sua vita. E Milano la città che lo ha accolto e che ha fatto sua, da quando, nel 1947 vi si trasferì: “Venivo da Piacenza, che era un villaggio. Milano cominciava a essere una città importante. Papà lavorava in una ditta di autotrasporti. Un giorno mi dette in mano il telefono, ma io avevo il terrore di telefonare. Mi vergognavo. Perché il telefono mi ricordava quello che avevo visto sul tavolo del federale. Certe cose ti restano dentro”. Tra i suoi primi amici c’è Enzo Iannacci suo vicino di casa. “Un ragazzo delizioso, fantastico, divertentissimo, molto carino con me, anche se la madre lo rimproverava: ‘Guarda come si veste bene il tuo amico Giorgio, non come te che sei così trasandato…’. Ma per quel ragazzini elegante il futuro ancora non è chiaro, pensa di studiare medicina all'Università Statale di Milano e diventare chirurgo. Dopo un paio di anni, però, trova un lavoro che lo mette a contatto con la moda: è vetrinista alla Rinascente. Nel 1964 arriva la prima occasione, quando Nino Cerruti lo chiama per collaborare con Hitman, la prima fabbrica di pret-à-porter da uomo.
L’amore come bussola e come leva, ma anche dolore irreparabile quando il suo compagno Sergio Galeotti muore nell’agosto del 1985, a soli 40 anni, stroncato dal male del secolo, l’Aids. “Ho ancora nelle orecchie le frasi di Sergio: “Giorgio, ti prego, fai qualcosa”. E io non potevo fare nulla”. Un distacco impossibile da un amico, un amante, un socio. «Ci siamo conosciuti vicino alla Capannina, in Versilia, dov’ero in vacanza per due giorni”, ha raccontato lo stilista. Era il 1966. “Incrociai Sergio in macchina, mi piacque subito il suo sorriso” Fu lui a spingerlo a mettersi in proprio. “Sergio aveva visto i miei vestiti, si era reso conto che potevo arrivare più lontano”.
E solo pochi anni dopo quella previsione, nel 1980, Armani conquista l’America. Il film American gigolo ma anche la prima sfilata al Rockefeller Center che vede tra i modelli in passerella Leo Dell’Orco, il compagno fino alla fine e sua nipote Silvana. Bergdorf e Goodman, il department store, apre alla collezione maschile dello stilista che solo due anni dopo sarà sulla copertina del Time. È il 1982. Prima di lui nel campo della moda questo onore era stato riservato solo a Dior. “A Parigi quando era appena uscito il settimanale incontrai Valentino per strada. Mi guardò e mi disse: ‘ah però!’ riferendosi alla copertina. E in quel momento capii che avevo raggiunto il mio traguardo”. Il mondo lo aveva capito prima, appena Richard Gere apparve sul grande schermo vestito Armani. «Rimasi stupito - racconta il maestro - quando Paul Schrader chiese i miei abiti per il film. Protagonista sarebbe stato John Travolta, ma io avevo qualche perplessità. Venne a Milano, simpaticissimo, bello, ma non era il gigolò a cui pensavo io. La mia idea era quella di un uomo con una bellezza sexy, particolare, per cui quando Paul cambiò idea e prese Richard fui contento. I vestiti erano perfetti su di lui, e ancora oggi hanno un valore incredibile, hanno lasciato il segno».
Da allora il suo rapporto con il Cinema e le star non si è mai interrotto. Tra le dive affezionate Claudia Cardinale, “un'armaniana per eccellenza che mi segue da anni, donna di straordinaria umanità” e Sophia Loren, sua coetanea e grandissima amica. Una lunga lista: Sharon Stone, Isabella Rossellini, Fanny Ardant. Kate Blanchett. Ma anche De Niro, Mickey Rourke, Richard Gere, Brad Pitt, Kate Blanchett, Demi Moore, Jodie Foste, Anne Hataway. E Martin Scorzese che veste Armani da sempre.
Polvere di stelle e di successo, di continui peana dalla stampa tranne che in un’occasione nell’84 quando decise di cambiare stile: “mi stavo cristallizzando su un genere troppo mascolino. Così creai giacche con volant e abiti a fiori. Un flop. I giornali scrissero: ‘Non è questo l'Armani che vogliamo’. Ma mi servì per uscire dall'altro cliché e ritrovare un equilibrio”. Uno stile unico quello di Armani, che si definisce negli anni ’80 complici i mutamenti sociali in atto che vedono, da un lato, le donne acquisire potere e, dall'altro, gli uomini vestirsi con più libertà. La sfida inizia destrutturando la giacca rendendola più fluida, liberandola dalle rigide controfodere. I corpi vestiti da Armani non sono “manichini” ma manifestano una forte personalità. Linee ma anche colori, uno su tutti, il greige, sfumatura che unisce il grigio al beige e che ricorda la sabbia bagnata del Trebbia, quella della sua infanzia.
Nel comunicato in cui si rivelava il malore di Giorgio Armani, per la sfilata Emporio Primavera estate 2026, anche l’indicazione di chi sarebbe uscito in passerella al posto suo ossia Leo (Pantaleo) Dell’Orco, suo braccio destro da oltre 40 anni e colui che insieme alla nipote Silvana è stato investito della responsabilità di continuare lo stile del maestro. Un rapporto iniziato per caso, ai giardinetti di via Tiraboschi, a Milano, come ha raccontato Dell’Orco: “il suo cane aveva iniziato a giocare col cane di un mio amico, con cui stavo passeggiando. Avevo 24 anni, lavoravo da anni alla Snam, prima come pubblicitario e poi come disegnatore industriale”. La prima sfilata a New York nel 1980, al Rockefeller Center: ” Ho sfilato anche io, in coppia con Iman. Memorabile", ha ricordato Leo. Armani e Dell’Orco sono stati certamente una coppia, ma non hanno mai gradito sottolineare questo aspetto, ripetendo sempre la parola amicizia. Il pudore come regola di vita. Quando nell’agosto del ’22 a Pantelleria scoppiò un incendio devastante che minacciava le case, Giorgio Armani non si trovava perché era andato a recuperare l’anello con diamante che gli aveva regalato Leo. Ma a chi gli chiese se era un gesto da innamorato rispose di no: “è inutile essere innamorato e dare poco spazio al tuo amore, perché lo spazio non ce l’ho. Salvo l’affetto profondo per Leo Dell’Orco, che vive da anni insieme a me, e rappresenta la persona a me più vicina”. Sempre insieme a Milano come a Parigi dove sfila la linea di Alta Moda, Armani Privè che quest’anno compie 20 anni ed è stata celebrata con una mostra al Silos di Armani, a Milano,
Quando 20 anni fa Giorgio Armani decise di fare Alta Moda la chiamò Privé, ossia privato, una parola che suona, ancora di più oggi, tempi di omologazione e di social, come il vero lusso. “L’Alta Moda mi ha consentito infatti di esplorare una faccia diversa del mio stile, insieme complementare e alternativa rispetto al prêt-à-porter, a essa accomunato dalla ricerca di una sigla lineare, alta, senza tempo”, ha spiegato il maestro. La coerenza prima di tutto, anche nella couture. “Essenziale mantenere un punto di vista, seguire la mia strada. Avere il coraggio delle proprie scelte. Io d’altronde sono fatto così, posso sembrare insicuro ma quando prendo una decisione poi non la cambio”. E nessuno è riuscito a convincerlo a mollare un po’ sul lavoro, negli ultimi tempi, per risparmiare le forze. D’altronde lui lo aveva detto: “Voglio continuare a seguire tutto, a occuparmi di tutto e l’ultima parola sarà sempre la mia Non me ne frega niente di una pensione super dorata. Non saprei cosa farmene. Questa è la mia vita, non ne ho un’altra e non la desidero nemmeno. Potendo, vorrei cambiare soltanto l’età”.