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  • Patrizia Toia

Discorso sullo Stato dell’Unione

Articolo di Patrizia Toia.

Spiace doverlo dire, ma con il discorso sullo Stato dell’Unione presentato da Ursula Von der Leyen, NON CI SIAMO.
Spiace perché si rischia di alimentare sfiducia nelle capacità dell’Europa. Ma l’analisi deve essere lucida, se davvero vogliamo dare una sterzata europea all’Unione e costruirne finalmente l’unità.

E, soprattutto, NON CI SIAMO perché il discorso non è stato all’altezza della sfida che oggi tutti percepiamo come esistenziale.
E non ha toccato le due maggiori condizioni paralizzanti dell’UE.
Da un lato il disegno appare fragile e la visione incerta, pur tra alcune linee apprezzabili. Dall’altro, sul piano dei programmi, emerge molta genericità mascherata da parole altisonanti sugli impegni cruciali dell’agenda europea — transizione ambientale, competitività, pilastro sociale — mentre risulta dettagliatissimo l’elenco di promesse su questioni minute.
Nel momento in cui si sta delineando un nuovo ordine mondiale fondato sul potere e sulla sopraffazione, la Presidente proclama: «L’Europa c’è» e «noi lotteremo».
Eppure, questo spirito oggi non c’era. E purtroppo non c’è in Europa, né nei luoghi decisionali né nelle leadership istituzionali e politiche.
Così, la Presidente diventa l’emblema di questa inadeguatezza diffusa, di questo divario tra parole e atti.
Von der Leyen ha esordito con l’impegno solenne a costruire una NUOVA EUROPA fondata su libertà e indipendenza.
Un esordio lodevole, che però si perde, quasi annega, in una lunga serie di proposte rassicuranti e generiche, spesso ridotte a nuovi formati organizzativi e burocratici di cui Bruxelles già pullula.
Sui programmi più significativi resta l’ambizione degli obiettivi: si riconferma la decarbonizzazione, i target di riduzione della CO2, gli impegni sull’automotive, la riconversione energetica, l’economia circolare. Ma, contemporaneamente, si aprono prospettive ambigue di revisione, senza chiarezza.
Si sparge ottimismo sulle potenzialità delle tecnologie verdi e dell’innovazione più avanzata, si presentano iniziative interessanti sull’AI — dal cloud europeo alle gigafabbriche per l’addestramento dei modelli di nuova generazione, fino alle sperimentazioni quantistiche. Ma resta senza risposta il «come» e con quali risorse realizzarle.
Così, il percorso rischia di apparire astratto, in certi passaggi persino velleitario. Come quando si prospetta la produzione, a breve, di una piccola eCar a basso prezzo, interamente europea, per materiali e tecnologie.
Magari! Verrebbe da dire. Ma ci spieghi con quali strumenti e con quali mezzi. Perché chi è al vertice del potere esecutivo europeo non può alimentare miraggi, ma deve proporre programmi concreti e perseguibili.
È stata invece più chiara sulla difesa dell’Ucraina, aprendo all’ipotesi — pur parziale — di utilizzo dei beni russi congelati.
Per la prima volta ha pronunciato parole forti anche su Gaza, pur sapendo di incontrare resistenze in una parte del Parlamento, e ha annunciato misure sanzionatorie contro Israele, seppur molto timide. Ha riconosciuto le difficoltà di operare in un’Unione divisa, ma ha dichiarato la volontà di fare il possibile, almeno come Commissione.
Certo, ci si muove in ritardo, e si poteva fare di più. Ma va anche ricordato che sulla politica estera la Commissione è «un’anatra zoppa», priva di competenze effettive, e che il Consiglio è drammaticamente diviso.
Accanto agli impegni ambientali, è apprezzabile che abbia inserito tra le priorità la lotta alla povertà, crescente in tutta l’Unione e che colpisce soprattutto donne e bambini, nonché il tema della casa. Anche qui, però, meglio poche promesse concrete che tante parole senza fattibilità.
Dunque, perché NON CI SIAMO?
Per due motivi fondamentali: la governance da riformare e le risorse da reperire.
Come si può delineare una Nuova Europa, libera, indipendente e unita, senza affrontare la crisi della capacità decisionale e senza dotarla di risorse fresche e adeguate?
Tutti hanno paura di parlare di riforma dei Trattati - parziale, progressiva o radicale che sia. Tutti hanno paura di proporre un nuovo debito comune come strumento permanente.
Eppure, qualcuno deve assumersi la responsabilità di aprire questo vaso di Pandora. Per avviare un processo di cambiamento profondo e per mettere alla prova chi è davvero disposto a costruire soluzioni nuove e condivise.
Tutti sanno - e ammettono - che oggi ci sono due ostacoli paralizzanti:
1. Un’Europa troppo poco integrata, dove il veto di un singolo Stato blocca tutto.
2. Un bilancio europeo del tutto insufficiente a sostenere ciò che si dice e si promette.
All’ora della verità, bisogna essere sinceri: se non si rimuovono questi ostacoli, il progetto europeo si riduce alla mera sopravvivenza.
Ma per chi è autenticamente europeista, la rassegnazione non è contemplata.
Nelle difficoltà istituzionali e soprattutto politiche di oggi esiste uno spazio enorme di lavoro culturale, politico e istituzionale.
Una grande alleanza deve nascere e consolidarsi.
Chi ha davvero a cuore il destino dell’Europa e il suo contributo essenziale nel mondo si muova e semini rapidamente. Perché il tempo stringe.

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