Ai referendum 5 sì per l’idea di paese e di sinistra che vogliamo
Intervista dell'Unità a Chiara Braga.
Chiara Braga, Presidente del Gruppo PD alla Camera dei deputati. Per aver scelto cinque Sì ai referendum dell’8-9 giugno, Elly Schlein è stata tacciata di tutto e di peggio: subalterna a Landini, alla mercé di Conte. Fuori dalle caricature e dagli insulti, cosa c’è di così urtante nella indicazione della Segretaria Dem?
Semplicemente l’idea di paese e di sinistra che vogliamo per l’oggi e per il domani. Il lavoro è un tema fondativo del Partito democratico. Tuttavia, negli anni non è stato sempre al centro del nostro dibattito anche per le emergenze che si sono susseguite, dal terrorismo alle guerre, dalle crisi economiche ai diritti civili. Ma con la segreteria Schlein siamo giunti a una svolta e il lavoro ha ritrovato quella centralità persa nel tempo: il lavoro è diventato centrale, come prescrive l’articolo 1 della Costituzione. E il lavoro è diventato anche tema di unità e collaborazione con le altre forze di opposizione con le quali stiamo portando avanti proposte concrete come il salario minimo, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario o il congedo paritario. Perché l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro: ma non il lavoro povero, precario e insicuro di cui questo governo non si occupa. Ora con i referendum abbiamo la possibilità di cambiare le condizioni di vita di milioni di lavoratori inserendo l’obbligo di causale nei contratti a termine che Meloni ha esteso e stabilendo il diritto a un’occupazione più sicura e dignitosa. La precarietà non è una fase transitoria, per troppi lavoratori e lavoratrici è diventata una condizione permanente. In una Repubblica fondata sul lavoro è inaccettabile che ogni giorno ci siano incidenti e morti in fabbriche e cantieri, dove a causa di appalti e subappalti, i controlli e le responsabilità si fanno sempre più deboli. Le persone sanno che sono temi che riguardano tutti. E i referendum sono una occasione straordinaria per farsi sentire. Per questo è importante andare a votare.
Giorgio Gaber cantava che libertà è partecipazione. La seconda carica dello Stato, il presidente del Consiglio Ignazio La Russa, ha dichiarato pubblicamente che s’impegnerà per il non voto.
Il Partito Democratico sosterrà i cinque referendum, è in campo per dare il suo contributo con 5 sì e per agevolare la più ampia partecipazione al voto. Non solo perché ci sono in ballo temi fondamentali per la vita delle persone ma anche per sostenere la partecipazione in una fase di grave disaffezione alla politica e alla condivisione delle scelte. Per questo le parole di La Russa sono da considerarsi gravissime. L’invito all’astensione è un invito al disinteresse e La Russa non è un militante qualsiasi, è il presidente del Senato. Ed è grave che la seconda carica dello Stato inviti a disertare le urne: il voto non è solo un diritto, ma anche un dovere civico. E se pure l’astensione è un’opzione prevista, va sempre considerata la stagione storica che stiamo attraversando. E siccome l’attacco ai diritti da parte della destra al governo è lento ma continuo, va tenuta alta l’attenzione per incentivare e promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Per questo mi auguro che l’ondata di coloro che andranno a votare sia la più grande possibile: sarebbe la miglior risposta a tanta arroganza. Sarebbe poi interessante sapere anche cosa farà la premier Meloni, con quale coraggio chiederà di sottrarsi al voto. Abbiamo denunciato come in queste settimane la Rai, il servizio pubblico, ridotta sempre più a megafono di Palazzo Chigi, nega uno spazio adeguato all’importanza di questo voto. Stanno usando tutte le leve in loro possesso per reprimere il sacrosanto diritto a una informazione libera e completa.
Cittadinanza, tutela sui luoghi di lavoro, lotta contro la precarietà e i lavori poveri, una pace giusta e per dirla con Papa Leone XIV “disarmata” e “disarmante”, la difesa dell’ambiente e di beni primari, come la salute e l’istruzione…Una sinistra che non ha questi grandi temi al centro del suo agire politica, può ancora definirsi tale?
Sono tempi difficili, complessi e preoccupanti. La parola precarietà è forse quella che meglio li interpreta: perché dalla pace all’economia, dal lavoro alla scuola, non c’è settore della vita civile che non risenta dell’incertezza del nostro tempo. Però non vogliamo arrenderci, non può arrendersi la sinistra. Il vocabolario del futuro non lo scriverà la destra. Non possiamo consentirlo per la nostra storia e per il futuro delle nuove generazioni. Per questo serve puntellare la democrazia, difendere i diritti e scrivere un nuovo capitolo sulla sinistra contemporanea e del terzo millennio. Lavoro, pace, ambiente, cittadinanza: mi sembrano i fondamentali su cui concentrarsi. Da essi dipendono una serie di scelte essenziali: sicurezza, welfare, Europa. La vittoria di Trump ha squadernato le categorie classiche e l’onda lunga dell’affermazione delle destre in molti paesi europei spaventa e impone una nuova determinazione. Per questo serve convincere e vincere in Italia, già con i referendum e poi nelle amministrative, anche per dare speranza all’Europa che è la nostra casa. Ripartire dai fondamentali sarà la base per battere le destre coinvolgendo le persone che hanno voglia di reagire. Per questo è il momento di discutere le nostre proposte con le migliori energie di questo paese per costruire il progetto per l’Italia. Un dialogo aperto con la società, le rappresentanze del lavoro e del mondo produttivo, del terzo settore e delle competenze migliori. Senza tralasciare il confronto con le altre forze dell’opposizione, quel dialogo che in Parlamento non si è mai fermato e che fuori serve a costruire l’alternativa.
Quando si vuole mettere in discussione la leadership di Schlein, si dice e scrive che non ha “cultura di governo”. Ma per lei, che oltre che dirigente del PD ne è anche capogruppo alla Camera, in cosa si sostanzia questa “cultura di governo”?
Diciamo che Elly Schlein paga molte prime volte. Sicuramente quella che pesa di più è quella di essere la prima donna segretaria di un grande partito della sinistra. E poiché il PD non è mai stato esente da un certo e carsico maschilismo, oggi mi sento di dire che stiamo cominciando a liberarcene. Quando Schlein è diventata segretaria i tempi erano ormai maturi per un cambiamento vero anche in questo senso. Solo per il fatto che nel frattempo la destra portava al governo una donna – che poi lei si guardi bene da fare politiche per le donne, è tutta altra vicenda politica – dunque anche solo per una questione di genere, c’era bisogno di una discontinuità di cui la Schlein è stata interprete con un’affermazione di personalità e competenza che comunque agli uomini non era stata mai richiesta, né per ruoli apicali nel partito che nelle istituzioni. Poi c’è l’aspetto dell’età. La Segretaria ha compiuto 40 anni un paio di settimane fa. La Meloni, che pure per gli standard italiani è ancora giovane, per dire, ne ha già 48. Insomma, tutti si sentono in dovere di dare consigli, suggerimenti ed esprimere perplessità. Ma a me sembra che Schlein abbia già smentito tanti luoghi comuni e dimostrato di saper prendere la guida di un grande partito che rappresenta un quarto degli elettori, di avere idee chiare su come lavorare e come elaborare, con il contributo di tutti, una nuova idea di paese. Avere cultura di governo significa affrontare la complessità delle questioni, con capacità di ascolto e di sintesi, qualità che la nostra segretaria ha già dimostrato di avere in tanti passaggi.
La presidente del Consiglio si fa vanto dei risultati ottenuti dal suo governo in Italia e in Europa.
Meloni e i suoi raccontano un paese che è solo nella loro fantasia. Un racconto che si alimenta di propaganda, utilizzando tutti i canali della comunicazione sia istituzionale che personale, e con l’occupazione di tutti gli spazi Rai. Un racconto fatto anche di molti silenzi, cioè del non parlare mai – né tanto meno di affrontare – i problemi veri del paese. Il sottrarsi al confronto con il Parlamento è l’esempio più eclatante: è mancata un anno e mezzo dal Question Time e salta regolarmente tutti gli appuntamenti con la stampa dopo il Consiglio dei ministri. Siamo scesi di diversi punti nella classifica della libertà di stampa nel mondo. Per questo noi le abbiamo chiesto di fare i conti con il paese reale: invece di chiudersi a Palazzo Chigi, faccia un giro in un Pronto soccorso, visiti una fabbrica in crisi, o una scuola di periferia. Basterebbe un salto al supermercato per scoprire che il costo della vita è aumentato talmente tanto che il famoso ceto medio sta lentamente scivolando verso la povertà soprattutto perché oltre a non fare niente per gli stipendi bassi, costringi le persone a pagarsi le cure mediche o a sostenere l’onere della mensa scolastica dei figli. Perché il gioco preferito di Meloni e Giorgetti è quello delle tre carte: tagliano il cuneo fiscale e poi coprono il costo scaricando sulle famiglie le spese essenziali some sanità, scuola, trasporti, insomma servizi essenziali per tutti, non solo per chi se li può permettere.